TRAVAGLI ESTIVI

Lo Russo alla boa dei tre anni.
E sul bis crescono i dubbi

Il sindaco di Torino è già ben oltre metà mandato ma attorno a lui aumentano le critiche, anche dal suo stesso partito. L'ambizione frustata per il vertice di Anci e quelle voci sulla ricandidatura. E nell'area Schlein invitano a tenere d'occhio Rossomando

S’affaccia dal balcone che dà su piazza di Città e fiuta l’aria Stefano Lo Russo. Dal piano nobile di Palazzo Civico, la sua fortezza Bastiani – un po’ roccaforte un po’ prigione, da cui troppo di rado si allontana secondo i suoi stessi alleati – il sindaco di Torino vede trascorrere le stagioni e avvicinarsi la boa dei tre anni di mandato: rispetto ai suoi colleghi avrà sei mesi di tempo in più prima che le urne sanciscano la fine del suo quinquennio e non sono pochi. Intanto a ottobre, esattamente tre anni dopo il suo inatteso trionfo, celebrerà a casa sua una cerimonia dal retrogusto amaro, quella che con ogni probabilità incoronerà Gaetano Manfredi sindaco d’Italia. Torino era stata scelta come sede per l’assemblea che, nei piani, avrebbe dovuto investire lui dell’ambita carica di presidente dell’Anci, dopo Antonio De Caro che da Bari è volato a Bruxelles, e invece dovrà accontentarsi del ruolo di padrone di casa: lui apparecchierà la tavola, ma l'invitato d'onore sarà il collega di Napoli.

Inutile rimuginare ora e chissà che di fronte alla malaparata il primo cittadino non faccia buon viso a cattivo gioco, accontentandosi di guidare i comuni piemontesi, così come gli aveva consigliato non più tardi di un anno fa il consigliere regionale Alberto Avetta, esperto di enti locali, quando ancora non conosceva le ambizioni nazionali del sindaco di Torino. Sarebbe comunque un puntello, chissà magari un viatico.

Mentre Torino si svuota per la settimana di Ferragosto, sotto l’ombrellone il chiacchiericcio agostano racconta di voci pettegole che si rincorrono riguardo al suo futuro più remoto. Le critiche nei suoi confronti sono sempre le solite (la maldicenza insiste batte la lingua sul tamburo) e se all’inizio erano prerogativa dei soliti menagrami, col passare del tempo hanno preso a circolare anche nel suo più stretto giro: la refrattarietà a incontrare i cittadini, la sua poca empatia, la mancanza di un feeling con la città. E ultimamente anche l’aura di efficienza che avvolgeva il sindaco-professore rischia di dissolversi, vuoi per i giardini e parchi, ma anche aiuole e rotonde, che all’inizio dell’estate, complici le abbondanti piogge, si sono trasformati in una selva (selvaggia e aspra e forte!) o le buche per le strade che costringono ogni anno l’amministrazione a indennizzare centinaia di sfortunati cittadini che ci finiscono dentro (più di 400 solo nel 2023). Basteranno i soldi del Pnrr a cambiare questa narrazione? Per ora i cittadini percepiscono solo i disagi dei cantieri.

Così, come spesso capita nel Pd, chi fino a ieri è rimasto acquattato ora alimenta il fuoco mai spento sotto la brace che arde dal 2021 quando il nome di Lo Russo venne imposto da un partito locale forte mettendo all’angolo l’ala più massimalista. Quella stessa componente che ora è diventata maggioranza con il successo di Elly Schlein, puntellata dopo il buon risultato elettorale alle europee. Insomma, gli equilibri sono mutati e così c’è chi inizia a prospettare, sottovoce, ciò che nessuno mai direbbe apertamente. Almeno non in questo momento, non a due anni e mezzo dalle urne, non dopo un solo mandato svolto. Perché se da una parte sembra un azzardo anche solo ipotizzare di non riconfermare un sindaco dopo il suo primo giro, soprattutto in una piazza come Torino, il solo fatto che qualcuno ne parli è già una notizia.

Per saperne di più bisognerebbe seguire i movimenti di Anna Rossomando, vicepresidente del Senato, pezzo pregiato della corrente “giudiziaria” del Pd, quella capitanata dall’ex Guardasigilli Andrea Orlando, prossimo candidato governatore del centrosinistra in Liguria, tra gli alleati più forti (ed esigenti) su cui può contare Schlein. Potrebbe essere lei a succedere a Lo Russo? Presto per dirlo, azzardato escluderlo. In fondo è una delle più alte cariche istituzionali del centrosinistra, al suo quarto mandato consecutivo da parlamentare e quindi, secondo lo Statuto del Pd, non più ricandidabile a meno di una deroga. Nella sua situazione ci sono anche Andrea Giorgis, Federico Fornaro e Chiara Gribaudo: sono tutti alleati di Schlein ma non potranno certo essere tutti beneficiari della deroga, se almeno una delle tre dovesse prendere un’altra strada, gli altri sicuramente faranno di tutto per agevolarla.

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