L'attualità di Donat-Cattin e Marini

Nella politica non sempre c’è da inventare tutto di sana pianta. A volte è sufficiente rileggere, seppur criticamente, il passato per rendersi conto che proprio quel passato conserva una straordinaria modernità ed attualità. È il caso, nello specifico, del magistero politico, culturale, sociale ed istituzionale di uomini come Carlo Donat-Cattin e Franco Marini. Due uomini certamente diversi ma accomunati da un filo rosso che li ha resi protagonisti nello scenario politico italiano per molti anni. Due dirigenti sindacali autorevoli – anche se Marini ha privilegiato per molti anni la carriera nella Cisl sino a diventarne segretario generale –; due leader politici, con Donat-Cattin che è stato un vero “cavallo di razza” per citare un noto slogan democristiano; due statisti e uomini di governo e, soprattutto, due straordinari interpreti della storia, del pensiero e della tradizione del cattolicesimo sociale italiano. E, infine, due “combattenti” politici accomunati da un progetto che non è mai venuto meno: la difesa e la promozione dei ceti popolari e dei lavoratori nel nostro paese. Con la capacità tutta politica, testarda e determinata, di rappresentare un mondo sociale e di farsi interpreti attivi di quelle istanze, di quelle domande e di quegli interessi nelle istituzioni locali e nazionali.

Ora, una esperienza politica e culturale del genere non si conclude con la scomparsa di quei leader e statisti. E questo per la semplice ragione che il tutto non è soltanto legato al carisma straordinario di due statisti ma, soprattutto, alla cultura e al pensiero che li ha caratterizzati nella loro vita pubblica. E, con loro, la rispettiva comunità politica. Ed è proprio questo l’elemento che oggi insiste per la contemporaneità di quella specifica cultura politica. Ovvero, un’iniziativa politica che partendo dalla difesa e dalla promozione dei ceti popolari, e soprattutto dei lavoratori, sappia elaborare un progetto politico complessivo. Perché la capacità di quei leader non si fermava alla difesa di particolari e specifici interessi sociali ma sapevano, al contempo, trarre le indicazioni per elaborare un progetto politico di governo. Non a caso, esponenti come Donat-Cattin e Marini non erano soltanto i riferimenti di una corrente all’interno della Democrazia Cristiana e poi dopo, almeno per Marini, del Ppi o della Margherita o del Pd nella sua fase originaria, ma leader di partito e uomini di governo. Certo, non si limitavano ad una gestione del sociale in chiave pauperista e assistenziale per la semplice ragione che avevano una cultura politica lontana ed alternativa rispetto alla deriva populista, demagogica e qualunquista.

Ed è proprio per la modernità di questa cultura politica che la si può tranquillamente riproporre, seppur con una versione aggiornata e rivista. Perché in ballo, infatti, non c’è la difesa di uno strumento politico – nel caso specifico un partito – ma, semmai, la perdurante modernità di un filone di pensiero che purtroppo in questi ultimi anni è stato sacrificato sull’altare di un maldestro e becero nuovismo. Un nuovismo fatto di partiti personali, di false rottamazioni, di fiducia cieca e dogmatica nei confronti dei capi partiti e, soprattutto, nella sostanziale criminalizzazione di tutto ciò che era riconducibile al passato. Ecco perché, se vogliamo far sì che ritorni la politica, e con la politica anche i partiti democratici, non possiamo rinunciare alle culture politiche. Almeno a quelle che non sono state cancellate dalla storia per la loro oggettiva ed indiscutibile inutilità perché semplicemente sconfitte dall’evoluzione della democrazia, della giustizia sociale, dello stato di diritto e delle libertà democratiche. E il magistero istituzionale e la lezione politica e culturale di uomini come Carlo Donat-Cattin e Franco Marini, per fermarsi alla concreta esperienza della sinistra sociale di ispirazione cristiana, devono essere ripresi e riattualizzati perché sono ancora contemporanei. All’interno di partiti, e delle rispettive coalizioni, dove quella cultura non viene pregiudizialmente e ideologicamente respinta perché ritenuta inadeguata, superata ed obsoleta. Tocca ai cattolici sociali, adesso, battere concretamente un colpo. Senza ulteriori rinvii e perdite di tempo.

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