C'era una volta il sistema Torino

Verrebbe quasi da dire “c’era una volta il sistema Torino”. Cioè quella strana e singolare alleanza tra l’alta borghesia liberal massonica, il fronte progressista aristocratico ed elitario, i salotti fatti da intellettuali, accademici, giornalisti, gli intramontabili catto/comunisti e professionisti vari benedetti e vezzeggiati dall’informazione locale democratica e moderna. Dimenticavo. Tutti erano espressione della sempre verde ed incontaminata “società civile”. L’intramontabile società civile milionaria, progressista, laicista e un po’ allergica verso tutto ciò che sapeva di ceti popolari, di periferie, di questione sociale e di problemi quotidiani delle persone.

Ora, sorge veramente spontanea la domanda: ma il “sistema Torino” esiste ancora? Certo, il tempo scorre velocemente e anche le fasi storiche e politiche si susseguono altrettanto rapidamente. Per cui sarebbe un atteggiamento ingenuo pensare che quel sistema di potere, trasversale e consociativo, possa ancora essere intatto e granitico. Anche se, è altrettanto indubbio, i tic e le reti trasversali di potere del passato difficilmente tramontano del tutto. Come, puntualmente, capita sotto i nostri sguardi. È appena sufficiente scorrere le varie nomine di potere, quelle vere però, per arrivare alla conclusione che buona parte dei nomi e dei cognomi sono sempre quelli e sempre gli stessi e, misteriosamente, passano sempre all’incasso.

Detto questo, però, non possiamo non prendere atto che alcune cose sono cambiate, anche se in misura non ancora così significativa. I vertici istituzionali torinese e piemontese non sono espressione di alcun “sistema” ma il frutto di un libero e sincero filtro democratico. La Chiesa torinese assolve la sua mission in modo serio e coerente con la sua tradizione e la sua cultura. Il ricco ed articolato mondo sociale – dai sindacati alle associazioni culturali, dai mille volti del volontariato all’impegno civico e disinteressato di gruppi e movimenti prepolitici e culturali – si muove con disinvolture a e senza particolari condizionamenti. Certo, poi esistono i tradizionali e radicati centri di potere che però rispondono sempre di meno ad una regia pianificata e orchestrata dall’alto e sempre più si muovono lungo i binari della propria oggettiva e scontata potenza. Economica, finanziaria e relazionale. E poi, in ultimo, c’è la grande incognita dei partiti. Dei partiti politici o di ciò che resta di loro, intendo. Come tutti sappiamo si tratta di cartelli elettorali che non producono più politica, né elaborazione culturale, né selezione di classi dirigenti ma, purtroppo, si limitano alla distribuzione delle candidature e del potere. Di governo e del sottogoverno.

Ecco perché, un sistema di potere come quello del “sistema Torino”, può essere messo realmente e definitivamente in discussione solo se la politica, e con la politica i partiti democratici e popolari, recuperano prestigio, autorevolezza e credibilità. Forse è la volta buona, ma servono alcuni ingredienti di fondo: impegno, coerenza, coraggio e voglia di guardare realmente al futuro senza rifugiarsi passivamente - e ancora una volta - nel passato. Un passato che, questa volta, è meglio consegnare agli archivi storici.

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