Le incongruenze della politica green

Recentemente il Parlamento Europeo ha dato parere favorevole al divieto di vendita di auto a benzina, diesel e Gpl a partire dal 2035. Gli eurodeputati hanno espresso 339 voti a favore, 249 contrari e 24 astenuti. La restrizione riguarda i veicoli per il trasporto su strada in generale e, per il settore automobilistico, coinvolgerà solo i modelli di nuova produzione e non quelli già circolanti: potranno essere venduti solo auto e furgoni ad emissioni zero allo scarico. La notizia induce a qualche riflessione.

Le emissioni di Co2, derivanti dalle attività umane, sulla Terra sono circa 36,3 miliardi di tonnellate (fonte Iea). I paesi più popolosi e industrializzati del mondo sono i maggiori emettitori di Co2: Cina (11,9 miliardi di tonnellate di Co2 emesse, pari al 33% del globale, in gran parte dovute all’esportazione di beni di consumo e alla forte dipendenza dal carbone), Stati Uniti (4,5 miliardi di tonnellate), India (2,3 miliardi di tonnellate). La Cina è stato l’unico paese a registrare una crescita economica sia nel 2020 che nel 2021. L’aumento delle emissioni della Cina è il risultato, in gran parte, di un forte aumento della domanda di elettricità soprattutto dipendente dall’energia a carbone. Per la stessa motivazione sono aumentate anche le emissioni in India. In Europa le emissioni di Co2 sono circa 3,5 miliardi di tonnellate (circa il 10% delle emissioni totali) e, dalle stime pubblicate da Eurostat, emerge che i settori economici responsabili della maggior parte delle emissioni di gas serra sono stati manifattura e costruzioni (34%), fornitura di energia elettrica (19%), agricoltura (14%) e servizi di trasporto (8%). La Germania è il Paese europeo che emette più Co2 a causa della sua forte dipendenza dal carbone. Di conseguenza, un quarto delle emissioni di Co2 dell’Unione Europea proviene dalla Germania. La Francia si salva dalla classifica grazie all’energia nucleare, che è la principale fonte energetica del Paese che, inoltre, non emette carbonio.

Limitandoci al settore automobilistico, se è vera l’affermazione di Greenpeace: «Il settore automobilistico, con 86 milioni di auto vendute nel 2018, si stima sia responsabile di 4.8 gigatonnellate (Gt) di Co2 equivalente, circa il 9% del totale delle emissioni globali di gas serra, più delle emissioni dell’intera Unione Europea (4.1 Gt)», significa che, essendo il settore automobilistico composto da tutte le auto in circolazione, circa 1,3 miliardi, e avendo ogni auto una emissione intorno a 100/130 gr/km di Co2 (arrotondiamo a 150, per eccesso), ogni auto dovrebbe percorrere circa 25.000 Km all’anno ovvero circa 70 Km tutti i giorni del calendario. E le industrie che producono auto? Non producono forse Co2 anche per la produzione di auto elettriche? Inoltre, la Co2 è sì una delle maggiori cause del riscaldamento e dei conseguenti cambiamenti climatici, ma, non è inquinante.

Le principali cause di inquinamento atmosferico, e quindi minaccia per la salute dell’uomo sono (la x che segue la sigla rappresenta la grandezza del diametro, in μm, della particella: più è piccola più è dannosa): 1) Pmx: Particulate Matter, materiale particolato o polveri sottili, cioè insieme di particelle microscopiche, solide e liquide, di diversa natura e composizione chimica, che si trovano in sospensione nell’aria; 2) Nox: famiglia chimica degli ossidi di azoto prodotti durante processi di combustione con l’ossigeno: camino a legna, caldaia a metano, motore Diesel o benzina, centrali termoelettriche; 3) Sox: gas ossidi di zolfo: anidride solforosa (So2: forma predominante che si trova nella bassa atmosfera), triossido di zolfo e monossido di zolfo. La principale fonte di emissioni è la combustione di combustibili fossili (carbone, olio e gas naturale).

Da fonte Corte dei Conti europea emergono i seguenti dati sulle fonti di produzione di inquinanti: Pm10: 42% riscaldamento domestico; 11% trasporti stradali; 10% energia; 17% industria; 15% agricoltura; 5% altre fonti. Pm2,5: 57% riscaldamento domestico; 11% trasporti stradali; 12% energia; 10% industria; 4% agricoltura; 6% altre fonti. Nox: 14% riscaldamento domestico; 39% trasporti stradali; 31% energia; 3% industria; 5% agricoltura; 8% altre fonti. Sox: 13% riscaldamento domestico; 0% trasporti stradali; 78% energia; 7% industria; 0% agricoltura; 2% altre fonti.

A questo punto, alla luce dei dati sopra riportati, mi sembra interessante quanto, ben nel settembre 2019, Pier Luigi Del Viscovo pubblicava in un articolo sul Sole 24 ore: «…si persegue l’estinzione dell’industria automobilistica, o almeno di quella europea, senza minimamente intaccare davvero le emissioni di Co2. Che porta a due domande. Cui prodest? E come mai l'industria si fa portare per mano di buon grado verso il patibolo, senza reagire? A rispondere alla prima domanda si rischia la dietrologia, dunque è meglio lasciare che ciascuno veda per conto suo chi è il vero portatore di una mobilità elettrica, mettendo insieme i fatti: deficit di tecnologia sul motore termico, squilibrio della bilancia commerciale automobilistica, disponibilità delle materie prime per le batterie. Poi, è talmente grande che è impossibile non vederlo. Abbiamo rivolto la seconda a Michele Crisci, presidente dell’Unrae (l’associazione dei costruttori esteri): “Premesso che chi veicola informazioni, soprattutto se si tratta di dati scientifici con la capacità di influenzare i mercati, deve verificare con competenza la correttezza dei dati, in questo caso voglio pensare che siano persone non competenti, senza ipotizzare altro. Detto questo, perché non reagiamo? In realtà, devo dire che la verità scientifica, stabilita dal Cnr su richiesta di Unrae, l’abbiamo rappresentata ai ministeri e ai ministri interessati e a molte amministrazioni locali importanti. Però ammetto che avremmo potuto comunicarla di più al pubblico, ai nostri clienti. La ragione sta probabilmente nel fatto che noi costruttori ci stiamo muovendo contemporaneamente su due piani. Da un lato, la direzione che abbiamo intrapreso è quella dell’elettrificazione, su cui siamo costretti ad accelerare da alcuni fattori esterni. A cominciare dall’obbligo che ci viene dal regolatore di stare entro parametri di emissioni molto stretti, raggiungibili solo con un certo numero di auto elettriche immesse sul mercato, per niente facile da ottenere a causa di una risposta ancora molto flebile da parte degli automobilisti. Ma non è solo questo, ci sono anche le pressioni che arrivano dagli analisti finanziari, che premiano le politiche ambientali delle aziende, a prescindere dal loro impatto effettivo. Dall’altro lato, dobbiamo anche spingere sulle auto tradizionali, che hanno un impatto ambientale minimo, trascurabile, favorendo il ricambio del parco circolante, con vetture nuove e pure con quelle usate di ultima generazione, che magari non ci aiutano a stare dentro i limiti imposti dall’Ue, ma portano un reale beneficio all'ambiente”.». E, ripeto, eravamo nel 2019!

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