La schizofrenia degli elettori

Al progressivo avvicinarsi del 25 settembre, giorno delle elezioni politiche italiane, in sintonia con le elevate temperature di questa estate, la campagna elettorale, attraverso i mezzi di informazione, sta letteralmente infiammandosi ma senza infiammare i cittadini. I continui sondaggi per sapere a che punto si trova ogni singola corrente politica stanno inondando i media e mi è tornato in mente quanto nel 2003 il filosofo Umberto Galimberti scrisse nel suo “I vizi capitali e nuovi vizi”: “La cultura del consumismo non investe solo l’identità personale e la libertà dei singoli, ma anche la vita pubblica nella sua espressione più alta che è la politica, dove i sondaggi svolgono la stessa funzione delle indagini di mercato per identificare i gusti, le tendenza, i capricci del “consumatore sovrano”.

In Politica, infatti, come nell’industria, i sondaggi, le campionature, le valutazioni, create originariamente per registrare le opinioni, servono oggi per definire una norma statistica che ha come scopo quello di escludere opinioni impopolari dalla discussione politica, senza alcun riferimento al loro merito, ma, come accade per le merci, semplicemente sulla base della loro dimostrata mancanza d’attrattiva. In questo modo chi governa incanala entro i propri disegni l’input popolare che già ha provveduto a formare con i mezzi di comunicazione, dove la pubblicità politica sempre meno si distingue dalla pubblicità delle merci, per cui i sondaggi, lungi dal sondare l’opinione pubblica, sondano di fatto la capacità di persuadere dei mezzi di comunicazione, con conseguente riduzione della democrazia a esercizio di scelte di consumo”.

Se il voto confermasse le previsioni dei sondaggi, la coalizione vincente risulterebbe quella di centrodestra e, essendo Giorgia Meloni presidente del partito con il maggior consenso elettorale, è del tutto probabile che potrebbe essere scelta come candidato da proporre come presidente del Consiglio dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Le forze antagoniste al centrodestra considerano Giorgia Meloni un pericolo per la democrazia in quanto il suo passato missino, legato al Movimento Sociale Italiano, tradirebbe la deriva di ispirazione fascista. Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera, ha recentemente scritto: “(…) in nessun altro Paese dell’Europa occidentale come da noi, tra fascismo e comunismo poi, si è avuta una così grande diffusione di culture politiche ostili alla democrazia liberale. Alle spalle dell’Italia che oggi va a votare ci sono insomma due lunghi passati antidemocratici, milioni di italiani che li hanno condivisi, tradizioni tenaci che da lì sono nate. (…) L’Italia deve ancora compiere un’opera di autocomprensione di sé in relazione a questo suo passato così complesso che ha visto la contrapposizione feroce tra due estremi, in qualche modo provenienti, tuttavia, da una medesima radice e con più di un aspetto in comune. (...) Farsi consapevoli del passato italiano non significa un banale “embrassons nous”, non significa l’oblio. I torti e le ragioni stanno ormai scritti nella Storia, che registra tutto e aiuta a non dimenticare. Ma la Storia non è una prigione, non può essere la prigione del nostro futuro”.

E la Storia, come ci ricorda il filosofo tedesco Nietzsche, ci insegna che dopo il paganesimo greco-romano, in cui “l’avversario poteva essere combattuto e insieme ammirato, poteva essere ucciso e al tempo stesso riconosciuto nel suo valore”, arriva il cristianesimo a diffondere il principio di uguaglianza fra gli uomini. Ricordiamo che la penisola italica è stata la culla dello Stato Pontificio che ha esercitato il “Potere Temporale” della Chiesa (cioè il potere riconosciuto al Papa di esercitare contemporaneamente il potere religioso sulla Chiesa cattolica e quello politico sul territorio dello Stato Pontificio che occupava circa 1/3 della penisola) per più di mille anni (752-1870).

Ora, se da un lato il principio cristiano di uguaglianza ha creato le basi del riconoscimento della dignità dell’uomo, al di là del ceto di appartenenza e dei privilegi posseduti, dall’altro ha scatenato l’invidia fra gli uomini. Nietzsche, in “Umano troppo umano”, spiega che: “L’invidioso, quando avverte ogni innalzamento sociale di un altro al di sopra della misura comune, lo vuole riabbassare fino ad essa (…). Egli pretende che quell’uguaglianza che l’uomo riconosce, venga poi anche riconosciuta dalla natura e dal caso. E per ciò si adira che agli uguali le cose non vadano in modo uguale”. E il filosofo Salvatore Natoli (1999-Dizionario dei vizi e delle virtù) precisa che infatti “in una società in cui l’inuguaglianza è assunta come dato naturale e intrasformabile si sarà indotti ad accettare più facilmente la supremazia dell’altro e per ciò stesso sarà più facile tollerare il proprio limite. (…) Se l’invidia, invece di attorcigliarsi e incagliarsi nel risentimento, diventa, nella complessità del gioco sociale, una legittima resistenza all’arbitrio, ben venga l’invidia, dal momento che dalla società degli uguali di fronte alla legge non si può recedere. (…) L’invidia è quel sentimento che non sopporta il proprio limite naturale in forza di una ragione sociale, perché è la società che decide del valore degli individui”.

Ritengo utile ricordare come si espressero i cittadini nelle ultime elezioni politiche del 2018: Movimento 5 Stelle 32,66%; Partito Democratico 18,72%; Lega 17,37%; Forza Italia 14,01%; Fratelli d’Italia 4,35%. Se il 25 aprile venissero confermati i dati degli attuali sondaggi, quale considerazione potremmo fare sul corpo elettorale italiano? Perché in solo 4 anni gli italiani, soprattutto nei riguardi delle formazioni politiche più radicalmente “antisistema”, hanno virato la rotta politica di 180 gradi”?

Una spiegazione di questo comportamento “schizofrenico”, che sembra non avere un reale conforto razionale, forse ce lo dà Umberto Galimberti: “E che cosa aspettiamo noi occidentali: il senso della terra, il senso della nostra vita? E dove soprattutto lo cerchiamo questo senso: nel progresso, nella crescita, nella novità di ogni giorno, nella loro polverizzazione che affoga in quella libertà perfetta di poter fare ogni cosa senza sapere che cosa esattamente fare? (…) Qui nasce l’accidia, la noia, che, a questo punto, più che un vizio capitale sembra essere l’atmosfera del nostro tempo.” Non credo sia utile al Paese, così come auspicato da Andrea Riccardi sul Corriere della Sera, un ritorno corporativo del mondo cattolico che abbia una forte rilevanza politica. Sempre Galimberti dice: “Come conciliare l’etica della mortificazione, che il cristianesimo ci ha insegnato in tutta la sua storia caratterizzata da un’economia di sussistenza, con l’opulenza offertaci dalla produzione e dal consumo dei beni, dove la soddisfazione dei bisogni (e non la loro mortificazione) è un fattore economico, e dove la soddisfazione dei vizi è il secondo fattore dopo che i bisogni sono stati soddisfatti? Come si fa a essere cristiani e quindi “mortificati” in un’epoca in cui la società è aggregata dall’economia che per la sua sussistenza non chiede mortificazione, ma consumo e soddisfazione?”.

L’atto di fede ad una divinità deve appartenere esclusivamente alla sfera intima. I partiti politici, più che “guerreggiare” tra di loro, facendo promesse ai cittadini che, quasi sicuramente come ci insegna la storia, non riusciranno ad onorare, non potrebbero spiegarci con semplicità e schiettezza quale sia la loro visione ideale di Paese? di società? Ad esempio, come definiscono e come intendono raggiungere l’uguaglianza, la meritocrazia, la giustizia, il diritto alla salute?

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