REGIME CARIOCA

Tra Appendino e centrodestra, il doppio forno della Lega

Lo sgombero di una palazzina dell’ex Moi, deciso nell’incontro tra sindaca e Salvini, è il primo terreno d’intesa con l’amministrazione grillina. Il leader piemontese Molinari rinnova i rapporti con la vecchia coalizione e la deputata Maccanti “tenta” i Moderati

Quando, pochi giorni fa, nel corso del faccia a faccia con Mimmo Portas, la deputata leghista Elena Maccanti ha manifestato la volontà di “aprire un dialogo con i Moderati”, incominciando dallo stesso leader della formazione più centrista del centrosinistra, quelle parole sono sembrate ben più di un atto di cortesia. Allo stesso modo, ma su un altro fronte, non sono sfuggite la rassicurazioni offerte da un altro esponente del partito di Salvini, il capogruppo in Sala Rossa Fabrizio Ricca, alla sindaca grillina sul fonte della battaglia olimpica, ma non solo. L’imminente sgombero di una palazzina dell’ex Moi, di cui hanno discusso Chiara Appendino e Matteo Salvini, nella recente visita del ministro dell’Interno a Palazzo civico, potrebbe essere il primo, concreto, atto di proiezione in chiave locale dell’asse gialloverde di governo.

Una mano tesa, quella dell’alleato nazionale, che potrebbe  tornare assai utile, al limite dell’indispensabile, alla sindaca nel caso in cui a partire dai Giochi del 2026 si consumasse un ulteriore scisma nel gruppo dei Cinquestelle, assottigliando in maniera allarmante la sua compagine. E se, ad oggi, pare del tutto inverosimile un ingresso della Lega in maggioranza, l’entente cordiale sempre meno velato tra i vertici dell’amministrazione grillina e Ricca attribuisce al Carroccio un margine di manovra più ampio, oltre i confini della ridotta di opposizione, ricevendo gratificazioni non soltanto formali.

Insomma, se un Portas preso alla sprovvista (il che è tutto dire) ha ritenuto di dover ricordare che lui è nel centrosinistra, risulterebbe assai meno facile che uno dei tanti disdegni in cui si produce la sindaca – l’ultimo è quello nei confronti di un possibile ticket olimpico con Milano, di cui ha preso atto ieri con piccata reazioni il governatore lombardo Attilio Fontana – riguardasse proprio l’esponente del partito con cui il M5s governa il Paese. Ma che in Piemonte, come continuano a ripetere non si sa con quanto potere di convincimento i vertici leghisti, intende tornare a governare con il centrodestra. Magari, pure mettendo nel conto di dialogare con i Moderati, come ha detto la Maccanti.

Ormai nel gioco spregiudicato a tutto campo di Salvini ci sta tutto e di più. Come ci sta il non lasciare al solo Luigi Di Maio, ai tempi del tira e molla con il leader leghista e le aperture al Pd, l’eredità dell’ineguagliabile arte democristiana dei due forni. A Torino, dove il trovarsi sui banchi dell’opposizione (per molto tempo tignosa) nei confronti della sindaca da un mese “alleata” nel Governo del Paese ha portato la Lega a un percepibile cambio di atteggiamento, il Carroccio sperimenta più che altrove la non facile pratica dell’equilibrismo tra il M5s e gli alleati storici del centrodestra con i quali non perde occasione per spendere rassicurazioni di voler spodestare il centrosinistra dalla Regione riproponendo ai piemontesi la formazione elettorale del 4 marzo. Compito, quello di smussare le asperità e riannodare i legami con i principali esponenti berlusconiani, affidato a Riccardo Molinari, sempre più ufficiale di collegamento nella sua duplice veste di segretario piemontese e capogruppo a Montecitorio,

Un po’ leninista nell’approccio e nella sua organizzazione, la Lega lo è pure nella famosa domanda, “che fare?”, lasciata opportunamente e convenientemente agli aspiranti alleati, conservando per sé la risposta che potrebbe anche essere diversa da quella data fino ad oggi. Il che non manca di irritare un giorno sì e l’altro pure Forza Italia, naturalmente guardinga rispetto a quello che Salvini potrebbe decidere di fare sul fronte amministrativo, partendo magari proprio dalle elezioni in Piemonte il prossimo anno. Non è un caso che sia stata immediata la reazione alle dichiarazioni del sottosegretario leghista del Mit, Edoardo Rixi, sulla Tav ritenuta “pur da farsi, ma meno strategica rispetto al Terzo Valico”, non solo da parte del presidente della Regione Sergio Chiamparino, ma soprattutto di più di un parlamentare azzurro. Proprio l’atteggiamento oggettivamente chiaro – “La Torino-Lione per noi va fatta”  – ma non ferreo come gli alleati si sarebbero aspettati, sembra rappresentare meglio di altre quella politica dei due forni che a Torino e in Piemonte trova legna da ardere in abbondanza.

Nessuno scontro aperto e un’opposizione pronta a soccorrere la sindaca grillina su alcuni temi che potrebbero risultarle cruciali se non fatali e un continuo ribadire la lealtà all’alleanza storica: così si muove il Carroccio, anche se ormai questa definizione ha fatto il suo tempo e risulta impropria guardando al partito di Salvini. Una distinzione che non a caso, ieri, ha fatto proprio Di Maio di fronte alla domanda sulla vicenda del sequestro dei conti della Lega: “È una sentenza che non mi crea nessun imbarazzo, non riguarda la Lega di Salvini – ha detto il vicepremier grillino – ma quella di Bossi e del suo cerchio magico”. La nuova Lega per nulla imbarazzante agli occhi degli alleati che dell’onestà-onestà hanno fatto il loro inno, quella di Salvini che non perde occasione per ripetere come nei Cinquestelle abbia trovato “persone serie, capaci, preparate e con le quali nessuno riuscirà a farci litigare”, è anche e soprattutto quella che a Torino fino ad oggi riesce a praticare la politica dei due forni. Superando, anche e perfino qui, Di Maio.

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