Regione, bene il confronto ma senza demonizzazioni

È indubbiamente positivo se anche in Regione Piemonte, dopo la quasi plebiscitaria vittoria di Alberto Cirio alle recenti erezioni, decolla una vera e propria cultura del confronto tra la maggioranza uscita vincente dalle urne e l’opposizione di sinistra. Anche perché la cultura del confronto appartiene ad una stagione dove la politica non era soltanto insulto, demonizzazione, delegittimazione, contumelie e distruzione sistematica dell’avversario/nemico. Ma, al contrario, dialogo sulle cose da fare, confronto – appunto – sulle ricette programmatiche alternative, capacità di convergere quando il contesto complessivo lo richiede e, soprattutto, rispetto dell’avversario che non è mai un nemico da annientare.

Ora, e per fermarsi alla concreta situazione della Regione Piemonte, è certamente positivo che un pezzo dell’attuale opposizione di sinistra si dichiari, almeno formalmente, disponibile ad avviare un confronto “costituente” con la maggioranza governo attorno ai temi più importati per il futuro e la prospettiva del nostro territorio. Una proposta che non può non essere accolta. Ma c’è un però. Ed è facilmente spiegabile, almeno sotto il versante politico. E cioè, com’è concretamente possibile, e anche credibile, se da un lato ci si dichiara disponibili al confronto e, al contempo, si teorizza tranquillamente che siamo di fronte “alla peggior destra” che non c’è mai stata nel nostro Paese – a livello nazionale come a livello locale – accompagnata da tutto quel caravanserraglio di accuse e attacchi politici e personali contro uno schieramento che rischia di portarci nelle tenebre e in un clima dove, di fatto, la democrazia è sospesa?

Perché delle due l’una. O il confronto lo si fa con chi ritieni che sia un interlocutore politico affidabile, credibile e serio oppure, e purtroppo, ti devi armare di buon senso e combattere contro un nemico implacabile dove ogni possibilità di confronto e di dialogo è cancellato sin dall’inizio per ragioni persin oggettive da spiegare. E questo perché se siamo alla vigilia di un “regime” che nega la libertà di espressione, che riduce la democrazia ad un optional, che concentra pericolosamente il potere nelle mani di una sola persona, che crea una disparità sociale ineguagliabile gettando nella miseria interi territori a vantaggio di altri, che distrugge la sanità pubblica, che – in sintesi – crea le premesse per un ritorno di un sistema illiberale e dispotico, beh diventa francamente difficile per non dire impossibile avviare un confronto politico sereno e costruttivo. Fuorché, maldestramente, al mattino si dialoga nelle aule istituzionali e nel pomeriggio si aizzano le piazze, il proprio elettorato e il sistema dell’informazione “amico” contro il regime dispotico, illiberale, dittatoriale e semi fascista.

Ecco perché è arrivato, e anche per il bene e la serietà della politica, il momento della chiarezza e della trasparenza. Ovvero, ci si confronta con gli avversari politici e non con i nemici da distruggere politicamente e da delegittimare moralmente tutti i giorni. Attorno a questo nodo, peraltro né banale e né secondario, la sinistra piemontese – in tutte le sue diverse e multiformi espressioni – deve adesso dare una risposta politica convincente e credibile. Detto con altre parole, con il regime non si dialoga ma lo si abbatte. Con gli avversari politici, invece, si discute e ci si confronta. Ma le due cose, insieme, non sono semplicemente compatibili.

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