CENTRODESTRA

Salvini non cede il Piemonte

A dispetto delle veline, la cena di Arcore non ha sancito nessun accordo. Le posizioni restano distanti sulle candidature alle Regionali. E il leader leghista, al momento, vuole designare lui il competitor di Chiamparino. Tattica per alzare il prezzo?

Quello che pareva uno dei nodi più semplici da sciogliere nella cena di ieri sera tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini – l’assegnazione a Forza Italia della candidatura a presidente del Piemonte – pare, al contrario, aver contribuito a imbrogliare ulteriormente la matassa e imporre un ulteriore passaggio, stavolta allargato alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Almeno così riferiscono fonti accreditate a corte. E a leggere in filigrana le parole del’eminenza verde Giancarlo Giorgetti, presente al vertice con il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani, la sensazione è che tutto sia ancora in alto mare: “Si sono incontrati dopo tanto tempo. L’incontro è stato cordiale ma non con una perfetta coincidenza di vedute. Ma è opportuno che si discuta. Ora vedremo se il Centrodestra in settimana troverà la quadra su tutta una serie di questioni”.

Non ha reso, ovviamente, meno difficoltoso il superamento di tutte le questioni sul tavolo l’assenza, per ora, del viatico del Cav alla nomina a presidente della Rai di Marcello Foa. Un via libera che, secondo quel poco trapelato dopo il faccia a faccia di Arcore (presenti l’eminenza verde Giancarlo Giorgetti e il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani), Forza Italia non avrebbe ancora dato vista la mancanza di garanzie chieste da Silvio a Matteo e non ancora ricevute su diverse questioni, comprese le prossime elezioni regionali.

Anzi, proprio questo insieme a quello delle europee, è il tema più politico sul quale i due leader non sono riusciti a trovare una quadra completa e tranquillizzante per l’ex premier. Non che lo preoccupino meno le mosse annunciate dai Cinquestelle in fatto di raccolta pubblicitaria o l’annacquamento di un suo cavallo di battaglia come la flat tax per finanziare l’odiato reddito di cittadinanza.

Su questi aspetti, probabilmente, una mancata risposta netta da parte di Salvini che i conti con l’alleato di governo li deve pur fare era messa nel conto ad Arcore. Non certo quello che è apparso un irrigidimento sulle Regioni. Berlusconi avrebbe chiesto che il candidato presidente in Abruzzo dove si voterà probabilmente a novembre sia un azzurro. Come, secondo vecchi accordi che ormai valgono quel che valgono, a Forza Italia dovrebbe andare il competitor di Sergio Chiamparino (sempre che l’attuale governatore non ci ripenserà un’altra volta) con in tasca il biglietto vincente.

La risposta del Capitano pare abbia gelato l’ex sultano di Arcore e messo in allarme la sua corte: La Lega non rinuncia all’Abruzzo, ma neppure al Piemonte. Nel primo caso cedere, per Salvini, significherebbe rinunciare allo sbarco del suo partito ormai nazionale oltrechè nazionalista per la prima volta al Sud affrancandosi in maniera inconfutabile dalla ristretta immagine nordista di bossiana memoria. Consegnare a Forza Italia la guida del Piemonte non sarebbe meno pesante, visto che farebbe svanire il progetto di una Nord a totale trazione leghista: dopo la Lombardia, il Veneto, il Friuli Venezia-Giulia e la Val d’Aosta, con la sola eccezione della Liguria dove comunque c’è Giovanni Toti il forzista più vicino al Carroccio, mancherebbe soltanto l’ultima regione ancora governata dal centrosinistra.

I segnali di quanto emerso ieri a Villa San Martino, in verità, non sono mancati nelle scorse settimane: lo stesso segretario regionale della Lega in Piemonte, nonché capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, in più di un’occasione aveva lasciato intendere (anche come monito a quei parlamentari azzurri ritenuti troppo duri nei confronti del Governo) che quell’accordo con cui si attribuiva la candidatura a Forza Italia c’era, ma non era scolpito nella pietra.

Proprio il nome di Molinari è saltato fuori in più di un ragionamento dei vertici leghisti, confermando non solo l’ipotesi di una ripetizione del modello Fedriga (Massimiliano, l’ex capogruppo alla Camera, segretario regionale poi candidato ed eletto governatore del Friuli-Venezia Giulia), ma soprattutto confermando la concreta possibilità di stracciare quella pagine del manuale Cencelli tra Forza Italia e Lega dedicato al Piemonte.

Semmai il candidato dovesse essere lui, Molinari non si esimerebbe dal pronunciare il classico “obbedisco”, ma certo non farebbe i salti di gioia. Per contro non sarebbe la scelta di Salvini di tenere uno dei suoi fedelissimi a capo della pattuglia parlamentare a impedirgli di tenere la linea dura sul Piemonte con l’alleato forzista.

Ormai sfumata, per impegni professionali e per una certa distanza marcata rispetto al Governo nel suo ruolo di presidente di Confindustria Piemonte, l’ipotesi di una discesa in campo dell’imprenditore novarese Fabio Ravanelli, probabilmente non occorre spostare lo sguardo su un’altra città per intravvedere la figura di un possibile candidato alla presidenza della Regione. Da due anni sindaco, Alessandro Canelli, salviniano doc, ha riconquistato la città di San Gaudenzio sconfiggendo il centrosinistra. Proprio come la Lega intende fare con la Regione. Tra i rumors romani circola insistentemente il nome di Guido Crosetto, l’ex sottosegretario berlusconiano ora coordinatore di Fratelli d’Italia: Salvini potrebbe dare il via libera a lui proprio per rinnovare il legame con Giorgia Meloni.

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