POLLAIO DEM

I fassiniani tagliano le ali a Gallo

Una parte della corrente un tempo capitanata dal Lungo non sosterrà il giovane consigliere regionale nella sua scalata al Pd piemontese. Tra i contrari Bragantini, Conticelli e Rossa. Lunedì la direzione sceglierà la data per le primarie. E c'è chi lavora a una soluzione unitaria

La corrente è in disarmo e da mesi non si riunisce, ma in queste settimane i maggiorenti di quella che fu la componente capitana da Piero Fassino si sono parlati spesso, al telefono e nei capannelli a margine di assemblee o direttivi di partito. Difficilmente ci sarà il cappello dell’ex sindaco sulla candidatura di Raffaele Gallo alla segreteria regionale del partito: il Lungo, emigrato (elettoralmente) in Emilia-Romagna guarda con crescente distacco le faccende domestiche sotto la Mole, pane quotidiano di quello che per lungo tempo è stata la sua ombra, l’architetto delle retrovie, amico e consigliori: l’eminenza grigiastra Giancarlo Quagliotti. Con il tesoriere della federazione torinese, Gioacchino Cuntrò, e l’ex ras socialista Salvatore Gallo detto Sasà, compone la trimurti di reggenza, tentando pur in assenza del Capo di giocare un ruolo nella partita congressuale. E per scongiurare la progressiva marginalizzazione Quagliotti ha stretto un patto di ferro con Mauro Laus, ormai principale azionista non solo della (ex) corrente ma del partito subalpino. Un asse che, approfittando della fase di confusione e di scomposizione delle tradizionali appartenenze, punta all’elezione del giovane Gallo in una logica di conquista manu militari (le truppe cammellate) del potere interno. Operazione talmente spregiudicata da risultare indigesta per molti fassiniani, pur di stomaco non propriamente delicato, che infatti hanno deciso di infrangere l’ordine di scuderia.

La fronda annovera l’ex deputata Paola Bragantini, la consigliera regionale Nadia Conticelli, l’ex parlamentare Salvatore Buglio di Nichelino, l’ex sindaca di Moncalieri Roberta Meo, la sua collega Rita Rossa, prima cittadina di Alessandria fino al giugno dello scorso anno, il giovane Alberto Saluzzo. Tra loro c’è pure Andrea Stara, ex presidente della Circoscrizione 2 e consigliere regionale prima di essere travolto – unico esponente del centrosinistra – dalla prima Rimborsopoli di Palazzo Lascaris. Un fronte variegato, in larga parte ex Ds, che ora osserva con interesse le mosse delle altre correnti, disposti a convergere su un nome, “il più possibile unitario”, senza porre veti pregiudiziali. Un po’ come fece lo stesso Fassino quando propose l’orlandiano Daniele Borioli. Insomma, (quasi) chiunque ma non Gallo junior. Nulla di personale, come si dice in questi casi, ma è la genesi stessa della candidatura ad aver fatto storcere il naso ai ribelli: figlia (è il termine calzante) di un’Opa sul Pd di natura famigliare improntata da logiche aziendalistiche.

Borioli, senatore nella precedente legislatura e prima ancora assessore regionale ai Trasporti nella giunta di Mercedes Bresso, rappresenterebbe una sintesi tra l’ala sinistra del partito e quella componente di ex diessini, ultimi a essere folgorati dal verbo renziano e primi a tornare sui propri passi. Lo stesso ex Guardasigilli avrebbe nuovamente preso in considerazione l’ipotesi, sottoponendo la cosa ai suoi riferimenti in Piemonte.

Con l’implosione della corrente fassiniana – i primi ad alzare i tacchi furono i due consiglieri comunali (ed ex assessori del Lungo) Claudio Lubatti, ora luogotenente di Matteo Richetti a Torino e Stefano Lo Russo, provocando, secondo quanto si racconta, un moto di compiacimento in Quagliotti – potrebbero aprirsi nuovi scenari, appena sarà chiara la data del congresso che dovrebbe essere indicata nella direzione di lunedì prossimo con tre finestre possibili: 15 e 16 dicembre, 12 e 13 gennaio, oppure 19 e 20 gennaio. O, ancora, visto che la discesa in campo di Marco Minniti accelera nei fatti la tempistica congressuale, assieme alle assise nazionali.

Gallo e Quagliotti hanno tentato fino all’ultimo di anticipare la data, per sganciare la conta regionale dalle dinamiche romane, ma un asse trasversale tra il renziano Davide Gariglio e il cuperliano Andrea Giorgis ha, fino a questo momento, procrastinato ogni scelta e alla prossima direzione tornerà a farsi sentire per imporre lo slittamento al 2019, avvicinandola il più possibile allo scontro nazionale. La ragione è semplice ed è di natura tattica: da una parte Gallo sa che allontanando il congresso piemontese da quello nazionale si ridurrebbe l’interesse attorno alla disputa e con i gazebo vuoti la sua forza di mobilitazione, sommata a quella di Laus, potrebbe diventare determinante con un paio di alleanze strategiche dell’ultimo momento. Ed è proprio per evitare di offrire ai due campo libero che buona parte del resto del partito (ma non tutti) sta tentando di allungare il brodo, attendere il Nazareno e provare a mettersi in scia delle manovre sul fronte nazionale.

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