TRAVAGLI DEMOCRATICI

"Questo matrimonio non s'ha da fare", renziani cornuti e mazziati

"Nessun accordo unitario con chi non riconosce il successo alle primarie di Marino". Ma in vista della conta nazionale i seguaci dell'ex premier perdono pezzi. Furia-Canalis, le nozze "preparate" un mese fa. Il "Don Rodrigo" Fassino e le "manine" dei suoi (ex) seguaci

Via Masserano, quartier generale del Pd piemontese. È il 24 novembre, l’ultimo giorno utile per la presentazione dei candidati alle primarie regionali e Luigi Bobba si è da poco tirato indietro. Stefano Lepri ha un diavolo per capello, al piano di sotto riunisce i suoi per decidere il da farsi, si consulta con Gianfranco Morgando, uno degli ultimi padri nobili del cattolicesimo popolare, il quale gli suggerisce di puntare su Monica Canalis: c’è lo spazio politico per provarci e l’ex segretario conferma il suo sostegno all’impresa. Salite le scale, attorno a un altro tavolo sono riuniti i dirigenti dell’ala sinistra del partito, che hanno respinto la proposta “unitaria” dei renziani, raccolti attorno a Mauro Marino, e hanno deciso di puntare su Paolo Furia. È qui che nasce l’alleanza catto-comunista che il 29 dicembre, salvo sorprese, consentirà al giovane ricercatore biellese di riuscire laddove aveva fallito undici anni prima uno dei suoi maestri, il concittadino Gianluca Susta.

Più d’uno dei presenti in quelle ore frenetiche vede Paola Bragantini abbandonare la sua riunione e imboccare la scalinata che porta alla stanza in cui ci sono i “leprotti”. Si ferma un po’ e torna indietro. Prima lei, poi altri. Cosa sono andati a fare lo scoprono i componenti della commissione congressuale il giorno seguente quando trovano tra i sottoscrittori della candidatura di Canalis alcuni illustri sostenitori di Furia. Non solo Bragantini. Anche i nomi di Alberto Saluzzo, che con Furia è candidato capolista a Torino, e pure l’ex parlamentare alessandrino Daniele Borioli, tutti un tempo fassiniani di ferro. È grazie a loro se la Canalis si è potuta candidare ed è (anche) grazie alla Canalis se Marino ha così clamorosamente toppato alle primarie. L’operazione è riuscita, il paziente (Marino o forse tutto il Pd) è politicamente stecchito.

Che tra Furia e Canalis fosse nato qualcosa è stato lampante a tutti la notte delle primarie: Marino con i primi sintomi dell’influenza che tutt’ora lo attanaglia non si fa vedere, mentre in via Masserano loro due festeggiano, a suon di selfie, i rispettivi exploit. Sulle prime in pochi credono alla possibilità di nozze tra (così) diversi, i due protagonisti (e soprattutto i loro sostenitori) sembrano invece esserne già certi. Lepri a caldo sentenzia: “Marino non farà il segretario”.

Non mancano i don Rodrigo in questa riedizione in salsa dem dei Promessi Sposi. Uno di questi è Piero Fassino che martedì ha riunito i “bravi” della sua corrente ufficialmente per discutere del congresso nazionale: coi renziani in ambasce vuole ricomporre i suoi per portarli in dote a Nicola Zingaretti e ottiene subito il semaforo verde da Gioacchino Cuntrò, Giancarlo Quagliotti e Rita Rossa, mentre Mauro Laus e Raffaele Gallo non dicono di sì ma neppure di no. Il giorno seguente il compagno Piero alza il telefono e contatta direttamente Furia: “Lassa stè cui preivi – gli dice in stretto piemontese - i voti in assemblea te li trovo io” raccontano essere stata la sua proposta. La mozione Marino già scricchiola?

Vuole dare una coerenza nazionale all’impresa il Lungo: Furia segretario con i soli voti della mozione Zingaretti e pensa non sia necessario che si “comprometta” con l’area cattolica, peraltro quella più ortodossa e lontana dalla sinistra del partito. Ma dove pensa di trovare i voti? Il giovane interlocutore non ci casca: a quanto ne sa lo Spiffero respinge l’offerta, seppur con la deferenza e il rispetto che si devono all’ultimo segretario della Quercia. Poi però con qualche amico si sarebbe lasciato andare: “Se ci tenevano così tanto a me avrebbero potuto sostenermi apertamente”. A provare a dividere i Renzo e Lucia del congresso ci hanno provato anche da Montecitorio, andando in pressing direttamente su Lepri: “Tu e Marino state dalla stessa parte, non puoi sostenere il candidato di Zingaretti a Torino e Martina a Roma”, “Non costringetemi a uscire dalla mozione Martina” è stata la gelida risposta del senatore torinese. Sul tema ieri è intervenuta apertamente anche l’ex ministro Valeria Fedeli: “Sembra che in Piemonte chi è arrivato secondo e terza abbia proposto al primo un accordo cosiddetto unitario. L’accordo prevede che chi ha preso meno voti farà il segretario e la vicesegretaria e che chi ne ha presi di più diventi presidente dell’assemblea. Alla faccia della partecipazione e della volontà degli elettori. È questo il modello di partito che i candidati alla segreteria nazionale hanno in mente?”.

Ieri i sostenitori della mozione Marino si sono incontrati nella sede elettorale del senatore torinese per decidere come rispondere alla proposta-provocazione avanzata da Furia e Canalis. Su una cosa si sono trovati tutti (o quasi) d’accordo e cioè che ogni intesa unitaria non può prescindere da Marino segretario. Il diretto interessato ha chiesto e ottenuto il mandato per un ultimo, disperato, tentativo di ricomporre il quadro con gli altri due sfidanti, poi “non ci resterà che una sana opposizione” ammette uno dei presenti. Resta l’incognita dei delegati all’assemblea: quanti dei 400 eletti si presenteranno il 29 dicembre, tra Natale e Capodanno, all’appuntamento? Chi patirà di più le defezioni?

Comunque vada il partito è ormai spaccato e c’è chi non esclude ripercussioni sugli attuali assetti della Federazione di Torino, guidata da chi al regionale è finito in minoranza, mentre tra i protagonisti della vittoria mutilata qualcuno osserva con sospetto il ruolo giocato in questa sfida da Sergio Chiamparino. “Ha fatto il doppio gioco? Non lo so, certo a lui farebbe più comodo un partito unito”. A buon intenditor… 

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