TRAVAGLI DEMOCRATICI

Furia: nessuna "ostalgia", semmai il passato è Renzi

Alla vigilia dell'assemblea che dovrebbe incoronarlo segretario, l'esponente della sinistra delinea la sua idea di Pd. "Basta con il mito delle sezioni, servono grandi battaglie". E apre sulle deroghe alle regionali: "L'unico obiettivo è prendere più voti possibile"

Indietro tutta? “Neanche per sogno”. A 24 ore dalla conta che, salvo sorprese, dovrebbe incoronarlo segretario del Pd piemontese, in virtù di un accordo con la componente cattolica, Paolo Furia, 32 anni, ricercatore precario, già segretario del Pd di Biella dov’è stato pure consigliere comunale, prova a delineare il perimetro ideale (e non solo) di un partito destinato a trasformarsi profondamente – a Torino come a Roma – se non vuole morire per consunzione. Una storia familiare e personale ben ancorata alla sinistra (il nonno paterno fu deputato e consigliere regionale) lo ha portato a riesumare in campagna congressuale la “tradizione laburista”, con il rischio di apparire d’antan nonostante l’anagrafe, con miti e eroi del secolo ferrigno. Insomma, una cifra di nostalgia per una lontana e gloriosa stagione, quella che i tedeschi chiamano ostalgia verso l'armamentario di bandiere rosse, falci e martelli.

È così?
«Ma figuriamoci. Attingere alle culture del Novecento non è un peccato, lo sarebbe riproporle tali e quali com’erano venti, trenta o quarant’anni fa».

E come si rinfresca il laburismo, dottrina che stava stretta a Blair già vent’anni fa e dopo che persino la terza via tracciata da Giddens per andare oltre è stata definita superata dal suo stesso autore?
«Penso a categorie come i tirocinanti o rider che fino a qualche anno fa non esistevano. Il tema non sono le radici, ma le soluzioni ai problemi di oggi. Servono tutele flessibili a nuove categorie di lavoratori. Come si può evitare che il tirocinio non si trasformi in abuso quando non sfruttamento? Queste sono le domande da porsi».  

Però nel partito la Sinistra resta minoranza, lei diventerà segretario con un accordo…
«Mi è stato rinfacciato di aver preso né più né meno che la percentuale di Gianna Pentenero quattro anni fa: vero, ma possiamo dire anche che nel 2014 la sinistra era decisamente meno spappolata di adesso, soprattutto dopo le recenti scissioni? E che Pentenero era una consigliera regionale già molto conosciuta rispetto a me? Al di là dei numeri mi pare che in queste primarie gli elettori del Pd abbiano scelto due proposte identitarie per molti versi differenti ma almeno con una connotazione politica chiara».

Infatti c’è chi parla di ritorno al passato.
«Per me non lo è. Anzi si tratta di un’alleanza costruita per superare una stagione nata con la volgare retorica della rottamazione e conclusa con sconfitte in serie, ultima quella del 4 marzo».

Una Santa Alleanza contro Renzi e i suoi seguaci?
«Renzi è stato premiato quando la sua proposta è stata interpretata come volontà di ricambio nei metodi e nelle persone. Poi, però, la discriminante è diventata la lealtà al capo come si è visto chiaramente dalla composizione delle liste alle ultime elezioni politiche».

E cosa propone lei di alternativo?
«Io dico no alla rottamazione e sì a un rinnovamento di qualità, premiando il merito e il dialogo intergenerazionale».

Qual è il ruolo di grandi vecchi del partito come Gianfranco Morgando, Giorgio Ardito e Giusi La Ganga nella sua ascesa?
«Ascolto tutti e ringrazio chi mi sostiene. Detto ciò ho chiesto un mandato pieno per trattare dopo le primarie e l’ho ottenuto».

Qual è il modello di partito che ha in mente? Siamo tornati all’antica dicotomia tra partito leggero e pesante?
«Partiamo da un assunto: con Renzi non esisteva un partito, mentre Bersani voleva riproporre schemi passati, con le sezioni, i militanti, una struttura forte. Secondo me, dire “torniamo ai circoli” ormai non vuol dire quasi niente. Ci sono aree dove Lega e M5s prendono più del 30 per cento senza essere presenti e per questo bisogna prendere atto che è finita la corrispondenza tra radicamento sul territorio e consenso».

In che modo proverete a coinvolgere persone nuove?
«Bisogna connotare il partito per battaglie politiche mirate, campagne di mobilitazione su temi sensibili. Facendo un’opera di raccordo, soprattutto nel Piemonte 2, con liste civiche e associazioni e comitati. Non ha più senso tenere aperte delle sezioni con una decina di militanti, bisogna prendere atto della grande disgregazione demografica soprattutto in alcune aree e valutare degli accorpamenti».

Intanto si avvicinano le elezioni regionali e il grande tema su cui il Pd dovrà pronunciarsi sono le deroghe ai consiglieri che hanno più di tre mandati alle spalle. I potenziali beneficiari hanno sostenuto lei, mentre chi è contro questa concessione stava con Mauro Marino. Questo cosa vuol dire?
«Innanzitutto non mi pare che Marino sul tema si sia mai pronunciato e a me nessuno ha mai chiesto nulla. Per quanto mi riguarda la questione andrà affrontata seguendo un unico obiettivo, quello di far prendere più voti possibile al Pd».  

Che segreteria ha in mente?
«Monica Canalis (la terza classificata alle primarie con cui ha siglato l'alleanza, ndr) sarà vicesegretario. Poi vorrei persone competenti in grado di affiancare Sergio Chiamparino nella stesura del programma. L'importante è avere una squadra operativa già a gennaio».

A proposito di Chiamparino, lo ha sentito in questi giorni? 
«Sì»

E cosa le ha detto?
«Di non perdermi in beghe interne e occuparmi di questioni di merito. Un consiglio che intendo seguire».