VERSO IL VOTO

Salvini tentato dallo strappo, ma i suoi ora frenano

Scaricare Cirio, costringere Forza Italia a proporre un altro nome o mandare a gambe all'aria l'alleanza? A dispetto delle rassicuranti veline azzurre il leader leghista sta seriamente pensando a un "esperimento" in Piemonte. Ecco perché

Buvette di Montecitorio. Enrico Costa e Riccardo Molinari parlano fittamente, sui loro volti si legge una tensione appena celata dalla cordialità: mentre uno annuisce l’altro scuote la testa, poi le parti si invertono. Del colloquio ciascuno darà una versione pro domo sua: il capogruppo della Lega spiegherà che si è limitato a confermare la concretezza del “piano B”, con la candidatura di Paolo Damilano, il deputato di Mondovì riferirà ai vicini di scranno di aver ricevuto dal suo interlocutore sufficienti garanzie di un imminente via libera della Lega ad Alberto Cirio. E, per quanto possa sembrare sorprendente, entrambe le versioni sono a loro modo veritiere.

Non è un mistero che per diverse ma convergenti ragioni Costa e Molinari puntino sull’europarlamentare albese per sfrattare Sergio Chiamparino dal piano nobile di piazza Castello. Il segretario del Carroccio piemontese non vuole mettere a repentaglio la tenuta della coalizione ed è disposto a fare ampie concessioni pur di evitare situazioni di instabilità che potrebbero facilmente ripercuotersi sul territorio e in molte amministrazioni locali. Per l’ex ministro di Ncd Cirio è una polizza sulla vita (politica), soprattutto quando prima o poi il crollo della casamatta berlusconiana imporrà di trovare una nuova sistemazione. E poter contare su un Caronte saldamente incollato sulla poltrona di presidente della Regione potrà offrire maggiori chance di ricollocazione a quell’intendenza azzurra che sente tremare la terra sotto i piedi.

Ma entrambi sono consapevoli che la decisione non dipenderà da loro. E sanno che il destino del centrodestra piemontese è quasi tutto nelle mani di Matteo Salvini. Se ieri alla buvette, dietro i due parlamentari piemontesi ci fosse stato un quadro avrebbe raffigurato la tentazione. Non quella di Sant’Antonio di Dalì, ma quella che starebbe crescendo proprio nel leader leghista. Da spauracchio agitato con cautela dai suoi per frenare quei sempre più insopportabili attacchi al Governo da parte di Forza Italia, lo “strappo” con il partito di Silvio Berlusconi da consumarsi alle elezioni regionali del Piemonte sembra sempre più un’eventualità per nulla remota.

L’idea frullerebbe in testa al Capitano non già, o comunque non solo, come un’alzata d’orgoglio e una prova di forza peraltro inutile visto che la Lega non deve certo dimostrare quel che attestano tutte le ultime elezioni, bensì come l’avvio concreto di un processo che il leader della Lega ha più volte delineato: la fine del centrodestra così come lo si è inteso negli ultimi vent’anni. Ma anche qualcosa di più: la conferma di quel “stiamo bene e lavoriamo bene insieme” che Salvini ha ribadito ancora nelle ultime ore al partner di Governo. Un esecutivo che, come ripete all’unisono con Di Maio, durerà per tutta la legislatura e, dunque, una sintonia che va oltre il sempre citato contratto.

È ormai chiaro che per Matteo, il futuro non contempla un ritorno con Silvio. Anzi le distanze anche fisiche, tra il leader della Lega e quello del partito che conta ormai un terzo di quanto valga il Carroccio, sono sempre più accentuate. Tanto da porre in dubbio se al tavolo su cui si dovrebbe decidere la candidatura a presidente della Regione Piemonte i due si vedranno, oppure per dirla con il Capitano “se non ci vedremo, ci sentiremo”. Il che, come tutti sanno, non è la stessa cosa e non ha lo stesso significato.

Un ritorno alla casa del padre (del centrodestra) che Salvini non ha perso occasione per escludere. Un passato che verrà archiviato in maniera la più evidente possibile proprio con il voto per l’Europa, con quelle visioni di essa lontane una dall’altra – quella sovranista della Lega e quella più continuista di Forza Italia - e per nulla conciliabili. Ecco una delle ragioni ulteriori, ovvero la coincidenza con il voto europeo, che potrebbero rafforzare l’idea dello strappo, o piuttosto dell’abbandono degli azzurri dopo una seduzione che questi ultimi si sono più costruiti nella loro testa piuttosto che averla realmente ricavata dall’atteggiamento della Lega sull’ancora irrisolta questione della candidatura ad avversario di Chiamparino.

Sul nome di Cirio inoltre pende ancora la spada di Damocle giudiziaria: per l’europarlamentare, indagato per la Rimborsopoli regionale, il pm ha chiesto, come noto, l’archiviazione, ma se per primo a temere il trappolone nelle vesti di una possibile imputazione coatta da parte del giudice, in piena campagna elettorale, era stato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, ora a voler evitare ad ogni costo questo rischio è proprio Salvini. Ecco perché il civico Damilano non solo resta in pista come spiegato da Molinari a Costa, ma pare consolidare il suo borsino, così come i contatti con i massimi vertici del Carroccio che sono proseguiti anche in questi giorni in cui l’imprenditore è negli Stati Uniti.

Chi, oggi, pare invece rischiare di rimanere fuori dalla coalizione è proprio Forza Italia, ancora disperatamente aggrappata al patto che le attribuiva la nomination del candidato. “Di patti ne ho visti tanti e altrettanti non mantenuti” ha detto sibillinamente, ma con concretezza, Giorgia Meloni richiesta a Otto e Mezzo di un suo parere sulla vicenda piemontese. A questo proposito fonti autorevoli della Lega fanno notare come nell’agenda di Salvini non sia stata del tutto depennata l’ipotesi di mettere sul tavolo, probabilmente virtuale, del centrodestra la richiesta a Forza Italia di proporre un nome alternativo a quello di Cirio, peraltro visto con crescente sospetto da ambienti del Carroccio per il suo stretto legame con il governatore ligure Giovanni Toti  e quindi potenziale elemento in grado di spostare equilibri verso la seconda gamba del nuovo modello di centrodestra.

Le stesse fonti non escludono che questa possa essere una mossa propedeutica del loro Capitano per spianare ulteriormente la strada verso lo strappo: nessuno oggi non può non vedere le divisioni interne agli azzurri, soprattutto in Piemonte, che si paleserebbero ulteriormente di fronte alla necessità di convergere tutti uniti su una figura con cui sostituire l’europarlamentare di Alba. A quel punto, Salvini avrebbe fin troppo gioco facile per procedere, insieme a Fratelli d’Italia e qualche lista a lui vicina, verso la conquista del Piemonte con Damilano e senza Forza Italia. O con un altro candidato ancora, chissà. Con uno scenario successivo, in caso di vittoria, che potrebbe riservare qualche sorpresa. “In fondo Torino e il Piemonte hanno un passato costellato di soluzioni innovative, di esperimenti poi rivelatesi vincenti” è l’indizio suggerito da ambienti leghisti. Che poi sia un porre le mani (molto) avanti verso una possibile alleanza con i Cinquestelle, sul modello di Governo, in Piemonte è troppo presto per dirlo. Forse non per metterlo in conto.

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