ECONOMIA DOMESTICA

Il fronte del (retro)porto

Il Piemonte potrebbe ospitare tre piattaforme di stoccaggio e movimentazione di container per decongestionare Genova. Un'operazione da 60 milioni in grado di dare lavoro a oltre 500 addetti. Ma la concorrenza è agguerrita

La via della seta rischia di trovare un collo di bottiglia a Genova. E per superare quella strozzatura, consentendo al porto ligure di far fronte al previsto raddoppio della quantità di container imbarcati e sbarcati, si guarda al Piemonte. È qui, presumibilmente nell’area sud della regione, che si prospetta la realizzazione di tre buffer, ovvero piattaforme di stoccaggio e movimentazione di quei container che già oggi di fatto saturano le aree portuali e retroportuali genovesi. Il Piemonte, per vicinanza, appare la prima opzione per questo intervento che vale qualcosa come una sessantina di milioni di euro, circa 500 posti di lavoro e la capacità di creare un forte indotto.

Tuttavia, anche in questo caso, il rischio di vedere almeno una parte di questo sistema migrare verso la Lombardia o l’Emilia-Romagna è nel novero delle eventualità: Piacenza, che già opera nelle logistica con lo scalo portuale di La Spezia, avrebbe già mostrato un notevole interesse, così come le aree lombarde meno lontane e più facilmente raggiungibili dal porto di Genova.

L’unica certezza ad oggi è sul primo dei tre buffer: “A Rivalta Scrivia c’è già una struttura utilizzabile a questo scopo e da lì si partirà, con l’obiettivo di realizzare il secondo nel giro di un paio d’anni” spiega allo Spiffero Rodolfo De Dominicis, presidente e amministratore delegato di Uirnet, la società di diritto pubblico partecipata dai principali attori del sistema logistico italiano e dai primari player industriali nazionali, cui è demandata la realizzazione e gestione della piattaforma logistica del Paese. Ma se la prima delle tre piattaforme, che richiedono una superficie ottimale di almeno 100mila metri quadri, potrà partire in tempi tutto sommato brevi potendo contare sulla struttura già operativa dell’area in cui opera il Gruppo Gavio ed eventualmente adeguabile alle specifiche richiesta, la partita più importante e complessa si apre per gli altri due buffer.

Innanzitutto si tratterà di trovare le aree idonee dove costruire quelli che altro non sono se non tecnologici e in gran parte automatizzati autoparchi dove i camion, anziché raggiungere il porto, si fermano, scaricano i container che a loro volta verranno trasportati nello scalo genovese sempre su gomma (e in parte residuale su ferro, nel caso la zona sia servita da binari) con mezzi alimentati a gas metano liquefatto e con un flusso programmato e continuo in modo da non intasare le banchine come avviene già adesso.

“L’ulteriore aspetto positivo di questo sistema è dato dal fatto che i tir non ripartono dai buffer scarichi, ma riprendono il viaggio con un nuovo carico, ottimizzando il lavoro e riducendo moltissimo le attuali attese, anche di molte ore, per le operazioni di movimentazione in porto”, sottolinea l’ad di Uirnet che tra i suoi soci ha anche Slala con il 5% delle quote, la fondazione per la logistica con sede ad Alessandria, presieduta da Cesare Rossini, a sua volta composta da enti locali, Camere di Commercio e altri enti sia liguri, sia piemontesi, anche se tra i soci dove pure c’è il Comune di Genova, non figura la Regione Piemonte.

“Slala, in questa operazione, ha il ruolo di coordinare le esigenze territoriali per favorire il più possibile la partecipazione e la condivisione degli enti locali, così come degli operatori, a partire dall’Autorità Portuale, in maniera tale – osserva De Dominicis - da superare eventuali ostacoli e accelerare quanto più possibile il processo, indispensabile per consentire al porto di Genova di essere competitivo nei confronti degli scali marittimi del Nord Europa”.

Una parte dei finanziamenti, 30 milioni, sono assegnati dal decreto Genova, “anche se questo progetto era partito prima della tragedia del crollo del ponte Morandi”, mentre i restanti trenta arriveranno dalla Banca Europea per gli Investimenti. Nella somma è previsto l’intervento anche sullo scalo ferroviario di Alessandria, “che non è né in contraddizione, né in concorrenza con le piattaforme per il traffico su gomma”, come chiarisce l’ad di Uirnet.

“Tuttavia è facilmente calcolabile quanto dovrebbe essere lungo un treno capace di svuotare una nave dal suo carico di 1500 container, senza contare i tempi di attesa necessari per completare il carico. È chiaro, che se si ragiona nel raggio di circa 200 chilometri dal porto, la movimentazione su gomma non ha eguali, se poi fatta con mezzi non inquinanti come previsto dal progetto, i benefici non sono solo economici”.

Il percorso verso una riproposizione, addirittura in chiave digitale, del concetto di banchina asciutta coniato negli anni Sessanta dall’armatore genovese Giacomo Costa cui si deve l’idea iniziale dell’interporto di Rivalta Scrivia, è avviato. Ora sta al Piemonte individuare le aree per ospitare e movimentare i container. Magari cercando di evitare che qualcuno, in Lombardia o in Emilia, faccia più in fretta.  

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