RETROSCENA

Con Cirio un esercito di carneadi

Rimborsopoli e anagrafe hanno spazzato via gran parte del ceto politico di centrodestra. I sopravvissuti sono finiti a fare i peones in parlamento. E così a Palazzo Lascaris (e forse pure in Giunta) andranno le quarte file dei partiti

“Sono preoccupato, anzi letteralmente terrorizzato. In consiglio e in giunta ci finiranno le quarte file”. A confessare il patema d’animo è uno di quelli che hanno voce in capitolo nella formazione della squadra che il centrodestra piemontese sta approntando in vista della competizione elettorale. Impossibile dargli torto: lo scenario che si annuncia – nel caso di vittoria dell’alleanza tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia – è quello di un esecutivo guidato dall’azzurro Alberto Cirio al quale non basteranno i trascorsi da assessore regionale, vicesindaco di Alba e pure europarlamentare per compensare l’infornata di carneadi e outsider: risultato di una evidente carestia di classe politica da utilizzare per il governo del Piemonte.

I partiti si trovano a raschiare il fondo dei rispettivi barili, a mandare in campo figure spesso sconosciute ai più, cooptati da qualche caporione locale o premiati per aver atteso più o meno a lungo dietro le quinte, magari dopo anni trascorsi a portare acqua al capataz di turno. Una situazione che accomuna tutti i partner della coalizione, incominciando dalla Lega dove le difficoltà appaiono maggiori non foss’altro che per il numero di posti che il Carroccio pretende. Eppure le ragioni di cotanta penuria di personale politico non sono poi così oscure, né del tutto recenti.

Rimborsopoli e anagrafe hanno di fatto spazzato via quasi totalmente un ceto che, almeno in parte, avrebbe fatto comodo oggi. E quello sopravvisuto a inchieste e all’inesorabile scorrere del tempo è da pochi mesi finito in parlamento, perlopiù peones salvo rarissime eccezioni. E così largo ai rincalzi, alle riserve, ai rimpiazzi. Con la quasi certezza che molti di questi conquisteranno lo scranno a Palazzo Lascaris e qualcuno pure il posto da assessore.

Non che manchi una soluzione, una via d’uscita da quello che potrebbe rivelarsi un vicolo cieco in cui trascinare lo stesso futuro dei piemontesi: individuare figure di area anche se non organiche, in grado di apportare quel valore aggiunto della competenza nei settori più cruciali dell’azione politico-amministrativa dell’ente e quindi da unire a quelle quarte file la cui stessa definizione, pur nel massimo rispetto sull’impegno e la buona volontà, la dice lunga.

Una strada che però sembra trovare un deciso quanto insormontabile sbarramento proprio nella Lega, dove la militanza, peraltro rispettabile, finisce con il contare assolutamente e senza eccezioni rispetto ad altre qualità. Un cul-de-sac in cui il Carroccio piemontese si è infilato e pare non avere alcuna intenzione di uscirne. La stessa freddezza con cui in Piemonte era stata accolta e, a fatica digerita, l’idea (arrivata e sostenuta dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti) di candidare a governatore l’imprenditore Paolo Damilano, appare ulteriore conferma a quella supremazia dell’attivismo di partito su qualsiasi apertura alla cosiddetta società civile: un atteggiamento che rischia di trasformarsi in un boomerang quando si tratterà di gestire assessorati e dossier importanti.

Non che gli altri partiti della coalizione si muovano in maniera granché diversa: innanzitutto le loro possibilità sono assai più ridotte, visto quel che si prospetta per il listino. Ma è, probabilmente, la scarsa forza, per non dire una certa qual debolezza, degli stessi tre uomini ai vertici regionali dei rispettivi partiti a far risultare più difficile quell’apertura verso mondi contigui, portandoli invece a privilegiare un rinchiudersi nel bozzolo protettivo, sia pure nel nome e nell’interesse del partito. Se Paolo Zangrillo appare un marziano a Torino (immagine suggerita da più d’uno dei suoi) e Fabrizio Comba pur avendo dimostrato capacità di tenere insieme i vari Fratelli figli di diversi padri, non è un nativo del partito di Giorgia Meloni, lo stesso Riccardo Molinari manifesta un bisogno impellente di rafforzare la base del suo consenso interno. La sua bruciante carriera, incominciata nei Giovani Padani, ha avuto ascesa ai vertici regionali quando Salvini non era ancora esploso con i suoi successi elettorali e quell’elezione alla segreteria è stata frutto di negoziati tra i diversi feudi locali piuttosto che espressione di leadership conclamata. Gli stessi feudi che adesso faranno da bacino non solo di voti, ma di candidati. Inoltre, a dispetto del nome di certo non è un cuor di leone, Molinari, avendo scelto di privilegiare il piccolo cabotaggio, rappattumando le consorterie locali, pur di assicurarsi una navigazione tranquilla o comunque meno perigliosa. Tanto ci pensa il Capitano a indicare la rotta (finché dura).

Non sarà facile, stando così le cose, per Cirio. Il quale potrà, nei limiti che gli saranno concessi, valersi di quei tre assessori esterni iche Sergio Chiamparino avrebbe voluto aumentare, lasciando tuttavia che quell’intenzione facesse la fine della promessa nuova legge elettorale. Una modifica in tal senso, probabilmente, avrebbe giovato anche al centrodestra e in particolare all’europarlamentare nel caso tocchi a lui insediarsi nel palazzo di piazza Castello. A patto, ovviamente, che riesca ad assicurarsi un buon grado di autonomia.

I numeri delle ultime elezioni e dei recenti sondaggi indicano per lui una strada in discesa. Probabilmente l’ostacolo più arduo lo ha superato qualche settimana fa o anche meno: voci dal gineceo di Arcore raccontano di un Cirio fuori dai giochi e di azzurri per questo fuori dalla grazia di Dio. Tanto che si dice di una visita-blitz alla clinica dov’era ricoverato il Cav da parte di Zangrillo, accompagnato dal fratello (medico personale di Berlusconi) al fine di perorare una causa che pareva quasi persa. Un po’ di giorni dopo l’eurodeputato di Alba sarebbe stato finalmente investito di quella candidatura annunciata per mesi e per mesi attesa invano. Vero o falso che sia, il fatto che venga raccontato negli ambienti berlusconiani la dice lunga sul clima che regna alla corte del Sultano di Arcore. Per carità, la paura di vedere sfuggire un traguardo a lungo ambito ci stava tutta, umanamente e politicamente. Ma scacciata quella, non rassicura certo passare al terrore confessato da chi non riesce a fugarlo mentre compila le liste con le quarte file.

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