VERSO IL VOTO

5 stelle tentati dal "voto utile"

Ai ferri corti con l'alleato di governo, tra i grillini piemontesi prende piede l'idea di dare una mano a Chiamparino. Turandosi il naso pur di stoppare la Lega. Un'ipotesi che non dispiace alla sindaca Appendino. E Bertola va su tutte le furie

Turarsi il naso, facendo finta di respirare a pieni polmoni. E - adattando ai tempi la famosa esortazione di Indro Montanelli per un voto alla Dc al fine di evitare il temuto sorpasso da parte del Pci alle elezioni del 1976 – cercare di impedire la conquista del Piemonte da parte della Lega. Come? Turandosi il naso, appunto, e votando nel segreto dell’urna per Sergio Chiamparino. L’idea di questo voto (per vari motivi) utile frulla in testa a più di un Cinquestelle dalle parti di Palazzo di Città. Anzi, proprio i muri dei corridoi del municipio, hanno raccolto più di un ragionamento in tale senso che, ovviamente, mai troverebbe la pur minima ammissione. Son cose che se si fanno, e la probabilità che si facciano c’è, ma di sicuro non si dicono. Neppure sotto tortura.

L’idea di votare M5s ovviamente alle europee e anche alle regionali, ma cedendo tuttavia alla tentazione di utilizzare la possibilità del voto disgiunto – ovvero indicare un candidato presidente diverso da quello sostenuto dalla lista – è l’indicibile scenario che si prospetta tra quella parte del movimento torinese (la più ampia tra militanti ed elettori) meno vicina idealmente al centrodestra e assai più affine alla sinistra. Ma anche quella, specie tra la pattuglia consiliare, più legata a Chiara Appendino. E, come si vedrà, anche questo aspetto è tutt’altro che scarsamente rilevante in una logica di interdizione rispetto alla possibile vittoria del candidato del centrodestra Alberto Cirio.

Un’operazione undercover che, proprio per la sua inconfessabilità, non avrebbe certo gran peso sulla contesa elettorale, ma già il sol fatto di venire segretamente contemplata racconta di un clima che tra il crescente scontro tra alleati di governo sul piano nazionale e prospettive in ambito regionale potrebbe portare una parte dei Cinquestelle a scegliere il male minore per la guida del Piemonte e il relativo rapporto con la loro sindaca.

Questo, ovviamente, presuppone una consapevolezza altrettanto inammissibile pubblicamente: la scarsissime o, più concretamente, nulle possibilità di vittoria del candidato presidente del M5s. Su questo punto Giorgio Bertola ancora l’altro giorno parlando a Pinerolo ha attaccato i giornali per quella che, in sostanza, ha definito una stucchevole e non veritiera narrazione: “Sono stufo di quanto sta accadendo a livello mediatico: si sta facendo passare il messaggio che Chiamparino può vincere, facendo intendere che gli elettori Cinquestelle potrebbero decidere di votarlo per evitare che il centrodestra governi il Piemonte”. Per il consigliere regionale uscente, erede designato di (e da) Davide Bono quale candidato governatore questa è “una narrazione falsa”, perché “votare Chiamparino o Cirio non cambia la sostanza, col passare del tempo stanno diventando la fotocopia l’uno dell’altro tanto che si può parlare di un ChiampaCirio” e quindi “l’unica vera speranza di poter cambiare le cose rispetto al passato siamo noi”. Speranza che, visti i precedenti anche recenti in altre regioni e l’approccio grillino alle amministrative che ancora è legato alla corsa in solitaria, sembra piuttosto un’illusione.

Logico e legittimo per Bertola correre per vincere e rivendicare la possibilità di farlo, così come una certa logica (magari un po’ meno legittima sotto il profilo politico) ce l’ha pure quel ragionamento improntato al tentativo di sbarrare la strada al partito di Matteo Salvini, cercando di aiutare Chiamparino a restare per altri cinque anni, pur mettendo in conto l’ormai più volte citata anatra zoppa, ovvero l’elezione di un presidente senza una maggioranza che dovrebbe cercarsi dopo il voto. E anche in questo caso per i Cinquestelle potrebbero aprirsi scenari nuovi, ma non inediti come il caso Lazio con Nicola Zingaretti conferma.

Provare a erigere una diga, come quella invocata da Montanelli in funzione anticomunista, di fronte al centrodestra a trazione leghista, per una parte dei grillini torinesi avrebbe un ulteriore risvolto di utilità. In primis, proprio per la sindaca. Non ci vuole molto (basta scorrere le cronache politiche dalla sua elezione in avanti) per comprendere come alla Appendino converrebbe avere quale interlocutore al vertice della Regione colui che più volte le ha tolto le castagne dal fuoco (ancora nell’ultima vicenda del Salone del Libro con il caso dell’editore da mettere al bando della rassegna) e che altrettante volte è stato prontissimo ad aprirle l’ombrello protettivo. Con Cirio difficilmente potrebbe accadere: non solo perché all’europarlamentare di Forza Italia manca, anche solo per questione di età, quella pratica politica e quel coltivato cinico ragionamento di opportunità (sempre politica, ovviamente) che sta da anni e anni nello zaino di Chiamparino. Ma, soprattutto, perché se l’attuale presidente se n’è infischiato, magari quasi compiacendosene, delle critiche e dei rimbrotti arrivati dal suo partito al Chiappendino, difficilmente Cirio potrebbe fare altrettanto non solo rispetto a Forza Italia, ma soprattutto nei riguardi della Lega.

Un voto disgiunto, previo turarsi il naso, che farebbe comodo alla parte femminile dell’ircocervo assai difficilmente riproducibile con Cirio in piazza Castello. E, allora, se nel ’48 la Democrazia Cristiana si rivolgeva agli elettori con l’efficace slogan di Giovanni Guareschi, Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede Stalin no, basterebbe sostituire Bertola a Baffone. 

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