BERLUSCONES

Psicodramma in Forza Italia, Cirio "protegge" la Regione

Il neo governatore chiamato al gabinetto di crisi di Palazzo Grazioli. Non rinnega l'amicizia con Toti ma rivendica il ruolo di pontiere con Tajani e il cerchio magico di Arcore. E soprattutto vuole evitare che la tregenda azzurra si abbatta sulla nascente Giunta

Ieri nel suo noccioleto a estirpare le erbacce come si deve fare in primavera, oggi a Palazzo Grazioli nella stagione peggiore di Forza Italia. Quattro giorni dopo il voto che lo ha eletto governatore del Piemonte, Alberto Cirio partecipa, appena cooptato, al comitato di presidenza – l’organo di governo nell’ancora regime monarchico forzista – meno formale e più drammaticamente sostanziale che mai si sia annunciato, nonché visto.

Un incontro, quello inizialmente fissato a Villa Gernetto e poi traslocato nella dimora romana di Silvio Berlusconi, preceduto da un crescendo di toni in uno scontro interno senza precedenti, tanto da far intervenire lo stesso Cav con una nota in cui ha affermato di non voler “tollerare che questo confronto possa trasformarsi in una dialettica tra antipatie eccessive ed egoismi personali”. Ma, tant’è, questa è l’aria di tempesta che tira dentro al partito dopo la débâcle delle europee, che però parte da lontano.

Un 25 luglio azzurro, nelle aspirazioni di qualcuno. Il rischio di un 8 settembre pieno di sbandati agli occhi di molti. Le accuse verso il cerchio magico, quei “troppi filtri attorno al Presidente” e poi, su tutto, le crescenti critiche e altrettanto chiari segnali di rottura da parte del governatore della Liguria Giovanni Toti. “Ha i suoi sentieri personali che non lo porteranno da nessuna parte”, ha detto di Berlusconi vaticinando pescando nel passato: “Tutti coloro che sono usciti da Forza Italia si sono condannati all’invisibilità”.

È in questo ambientino che l’appena eletto presidente del Piemonte entra oggi a Palazzo Grazioli. La posizione di Cirio, va detto, non è la più facile: leale e riconoscente al Capo (già prima e, magari, ancor più dopo la sua candidatura), ma anche legato a Toti da una solida amicizia personale che sconfina naturalmente in una tutt’altro che diversa visione politica. Con il collega europarlamentare la sera in cui conquistò la guida della Liguria, anticipando in fotocopia il percorso che poi sarebbe stato proprio il suo, del politico di Alba passato da Bruxelles a Torino. Ancora con Toti in più di un’iniziativa, fino a veder ricambiato quell’appoggio con endorsement e trasferte oltre Appennino dell’ex direttore dei Tg di Mediaset.

Posizione non facile, com’è facile comprendere, quella di Cirio. Anche se lui, abilmente, è sempre riuscito a esercitare quel ruolo di pontiere – perfino nell’improba impresa di farlo tra Antonio Tajani e lo stesso Toti – che si è scelto, da tempo, con cura e lungimiranza. Certo gli occhi, in Piemonte, sono tutti su di lui: cosa farà? Il presidente della Liguria ha detto che si aspetta di averlo con lui all’iniziativa di giugno attorno alla quale sembra delinearsi il profilo della scissione, della nascita di una cosa nuova che guarda verso Giorgia Meloni. Ma proprio lo sguardo verso la leader di Fratelli d’Italia allarma anche quei parlamentari azzurri più vicini a Toti: “Quella ci mangia” diceva ieri uno di loro usando espressioni ancor più colorite e ricordando la campagna acquisti di FdI che in Piemonte più che altrove ha fatto incetta di colonnelli e tenenti azzurri.

“Però se non usciva Giovanni eravamo ancora fermi. Bisogna dargliene atto, anche se meglio lavorare dentro che fuori” ragionava il senatore alessandrino Massimo Berutti, in una sera in cui si sono accavallati incontri separati da separati in casa con Mariastella Gelimini che a un certo punto consegna nelle mani del Cav le sue dimissioni da coordinatrice azzurra per la Lombardia.

“Sono una testa pensante e libera”, questa la risposta alla domanda da che parte si collochi, data da Osvaldo Napoli, l’altro parlamentare che insieme a Berutti e Daniela Ruffino si attovagliò una sera di qualche mese fa con il presidente della Liguria quando l’aria di fronda era già piuttosto pesante.

“Il tema del passaggio dalla monarchia assoluta alla concessione dello Statuto…” riflette uno dei parlamentari storicamente più leali al Cav come Gilberto Picchetto, “porsi il problema del futuro del partito è un dovere, ma guardare al di fuori…”. Soprattutto – e qui concordano sia quelli più vicini sia quelli meno a Toti – c’è quel rischio di consegnarsi alla leader di Fdi. Tant’è che la stessa interpretazione delle spinte da parte del governatore ligure, nelle ore di tensione ma anche di qualche riflessione, spesso porta a vedere la sua tattica non tanto volta a rompere e uscire, quanto ad alzare la temperatura interna al partito. “Credo che anche lui – dice un parlamentare piemontese di lungo corso, sempre riferito a Toti – abbia capito che fare una cosa insieme alla Meloni non gli convenga”. Valutazione o auspicio?

Di sicuro questo scenario, tra lunghi coltelli e profonde incertezze, non è il miglior esordio per il neogovernatore del Piemonte in quel “comitato centrale” forzista che non avendo più trovato d’accordo gran parte del suo popolo di elettori – per rifarsi a Brecht – non potrà certo nominare un nuovo popolo. “Mi aspetto anche lui” aveva detto Toti a chi gli chiedeva di Cirio nella costituente del nuovo movimento in programma ai primi di luglio, tirando un po' il neocollega per la giacchetta. Ieri per estirpare le erbacce, tra una telefonata di Giancarlo Giorgetti e quelle di decine di aspiranti a qualunque poltrona, lui l’aveva ripiegata con cura sotto un nocciòlo, ma da oggi?

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