PALAZZO CIVICO

Appendino (e Pd) addio, ora il civismo guarda a destra

Quel patto tra gli eredi del Pci e un pezzo dell'establishment torinese alla base del ventennio di governo del centrosinistra è ormai superato. Delusione e rabbia verso i Cinquestelle, ma nessuna nostalgia del passato. Il ruolo della Lega

Sarà pure strabismo, ma dopo aver guardato per lungo tempo a sinistra ora lo sguardo pare rivolto dalla parte opposta. E così quella parte di establishment, erede dei contraenti di quel patto siglato oltre venticinque anni fa con le forze progressiste della città pare sul punto di cambiare campo. Che sia per convincimento politico, opportunismo o per interesse poco importa: i rappresentanti della soi-disant società civile per il dopo Appendino non hanno nostalgia del passato e non sono affatto interessati alla riedizione di una stagione che ha mostrato tutti i limiti nei cinque anni dell’ultima amministrazione di centrosinistra, guidata da Piero Fassino. Insomma, dicono peste e corna della sindaca grillina ma nessuno rimpiange il Lungo.

Appendino, pur messa a dura prova dall’interminabile sequela di inciampi e scelte considerate scriteriate da una sempre più vasta parte della città, probabilmente porterà a termine il suo quinquennio. Tuttavia, immaginare una sua ricandidatura – pur superando l’ormai non più rigido blocco dei due mandati – ad oggi appare a dir poco azzardato, così come inverosimile – alla luce degli ultimi risultati elettorali – una ripetizione del successo dei Cinquestelle. A oggi, quella che si prospetta per Torino nel 2021 è una partita giocata nelle formazioni tradizionali, del centrodestra e del centrosinistra. Gli schemi e i ruoli sono però molteplici e non scevri da importanti variabili. Una di queste, probabilmente determinante, sta proprio in quel civismo su cui fin d’ora debbono misurarsi e calibrare decisioni sia il Pd insieme alle altre forze minori storicamente alleate, sia non di meno quel centrodestra che anche le ultime consultazioni regionali hanno riconfermato a evidentissima trazione leghista.

Tutto ciò in una città che l’ultimo voto ha colorato con nettezza in due tinte differenti: il centro e i quartieri che da esso propalano rimasti al centrosinistra e alla Lega quelle periferie che nel 2016 avevano segnato la vittoria grillina. Risultato cui contribuì, al secondo turno, il centrodestra con l’indimenticato (anche se oggi non poco imbarazzante per Matteo Salvini) endorsement del Capitano: “Se fossi di Torino voterei Appendino”, in verità inascoltato dalla dirigenza locale leghista eccezion fatta per Mario Borghezio. Lo stesso voto per la Regione ha confermato la superiorità del centrosinistra (46,79% di cui 30,41 al Pd) sul centrodestra (39,43%). E anche da qui toccherà partire. Con quel cambiamento di posizionamento di un mondo – delle professioni, delle associazioni, dell’impresa – che molto lascia supporre potrà accentuarsi nei mesi a venire, marcando sempre più una delusione rispetto alle aspettative riposte (spesso con il voto) nella sindaca, ma che tuttavia non pare affatto tramutarsi in un ripensamento del passato e, dunque, un tornare a guardare verso il centrosinistra.

Difficile per quest’ultimo, recuperare quanto perduto. Lo stesso spirito di rivalsa che anima il Pd sembra destinato a influire negativamente sulla considerazione degli interlocutori civici, i quali infatti sembrano poco propensi ad affidare a un esponente del grande partito erede di Pci e Dc il compito di riconquistare Palazzo civico. Figli della stessa crisi di rappresentanza e di credito, corpi intermedi e partiti di centrosinistra faticano a trovare una strada comune. Né è possibile riprovare quella felice esperienza che all’inizio degli anni Novanta segnò la svolta per Torino con quell’Alleanza impersonata da Valentino Castellani: il patto – tra una buona parte del ceto borghese e produttivo con una parte degli eredi del Pci, appena mutato in Pds dopo la Bolognina – sotto la regia di Enrico Salza si è concluso, esaurito e risulta irripetibile.

Non è, tuttavia, solo il centrosinistra a doversi interrogare su come affrontare quello spostamento di un blocco (più di potere che sociale) con il quale la politica non può non fare i conti. O, addirittura, intercettarne in tempo utile gli umori e incanalarli interpretandoli politicamente. È in questo senso che, probabilmente, va letto l’appello lanciato dalla deputata di Forza Italia Claudia Porchietto, tenendo ben a mente il suo profilo politico e la sua conoscenza (per appartenenza) del mondo delle professioni e delle imprese. Commentando l’ennesimo disastro a Cinquestelle, ovvero la perdita del Salone dell’Auto, la parlamentare scrive: “Non posso pensare a Torino distrutta dalla pochezza e dall'ignoranza, tutti abbiamo sbagliato nel passato e nel presente ma non possiamo perpetrare gli errori”. Poi un appello eloquente: “Uniamoci, lavoriamo per rilanciare la città, con un unico pensiero, senza bandiere di partiti o strali sul passato. Torino merita il meglio e noi dobbiamo contribuire a ricostruire il meglio per la città”. Non un’abiura alle bandiere, ai simboli di partito, ma un guardare oltre, a un campo più largo. Quello che la stessa Porchietto sta tentando di fare ponendosi al crocevia di una rete di comitati civici (da PuliAmo Torino ai No Ztl).

E di un “obbligo per il centrodestra di liberare Torino dal vuoto di programma e di prospettive in cui è caduta” parla il senatore azzurro Gilberto Pichetto: “L'occasione persa delle Olimpiadi deve diventare un'opportunità per riconsegnare la città ruolo che le spetta, attraverso un progetto politico che metta al centro il rilancio dell'occupazione, il sostegno all'imprenditoria locale e agli investimenti produttivi nei settori strategici a cominciare proprio dalle infrastrutture". Temi cruciali per quella società civile che ha partecipato attivamente alle manifestazioni a favore della Torino-Lione e non solo. Società civile che ha tolto alla sua definizione quel sigillo di proprietà esclusiva del centrosinistra.

Materia da maneggiare con cura il civismo, sempre sul confine tra impegno e ambizione, idee e slogan, autenticità e mascherature, cause comuni e singoli protagonismi. Eppure anche nel centrodestra nel recente passato sono stati fatti tentativi che, alla luce del prossimo appuntamento elettorale, potrebbero rappresentare una sorta di prove generali. Tre anni fa l’azzeccata (ma non pienamente colta dalla Lega) proposta del notaio Alberto Morano e quella meno fortunata dell’avvocato Luca Olivetti con il suo Sogno per Torino, comunque ascrivibile tra i tentativi di far breccia in quegli ambienti che poi si sarebbero manifestati indulgenti (e in alcuni casi ancor di più) verso la Appendino, per virare successivamente alle prime prove dei fatti. Lo stesso Gian Luca Vignale, politico di lunga navigazione nella destra, ha imboccato la via civica insieme al promotore con le madamin della piazza Sì Tav Mino Giachino.

Tra originali e riciclati, si muove il civismo e il vaglio ancor prima che agli elettori spetterebbe ai partiti. Quello ormai egemone del centrodestra è certamente il più freddo rispetto a queste aperture. Si è appena detto di come la stessa, indovinata, scelta di puntare su Morano non abbia visto grandi entusiasmi in una forza politica di stampo leninista, la Lega salviniana, cui assegna alla militanza il valore fondante della partecipazione politica. Quanto potrebbe pesare una certa diffidenza verso gli esterni – basti pensare a com’è finita l’idea di candidare l’imprenditore Paolo Damilano, pur suggerito da Giancarlo Giorgetti per la presidenza della Regione – che alberga nella dirigenza piemontese del partito di Salvini? Non è un mistero che lo stesso segretario piemontese Riccardo Molinari non ami particolarmente Torino e ancor meno gli esponenti del suo stesso partito. Eppure in quel che resta del gruppo dirigente del Carroccio subalpino pare non abbiano rinunciato a coltivare l’idea di far crescere una candidatura di casa, magari quel Fabrizio Ricca, capogruppo in Sala Rossa che potrebbe mettersi parecchio in mostra con la sua nuova veste di assessore regionale alla Sicurezza e scorrazzare in lungo e in largo per la città, soprattutto in quei quartieri dove maggiormente è avvertita la difficile convivenza con gli immigrati? Chissà. Oppure, ed è quello che si augurano autorevoli stakeholder, la Lega si accontenterà del ruolo di portatore d’acqua al mulino della coalizione, trasponendo sotto la Mole lo schema regionale: un sindaco non suo e una squadra in cui è preponderante, pur di riuscire a conquistare una città dove il centrodestra nel recente passato è arrivato a un soffio dal farlo soltanto con Roberto Rosso, candidato contro un poi vincente Sergio Chiamparino?

Sfumata per il centrosinistra ogni possibilità di ripercorrere l’esperienza del ’93, sembra toccare al centrodestra verso cui guardano molti di quei mondi della città, intercettare, comprendere e interpretare le istanze della sedicente società civile. Un sfida per nulla facile che, mentre da Forza Italia arrivano segnali di apertura, attende soprattutto il partito di Salvini. Prevarrà lo spirito di appartenenza o la realpolitik declinata sotto la Mole?

print_icon