RETROSCENA

Scambio Tav-Autonomia, prove di accordo M5s-Pd

I grillini s'impegnano a non rimettere in discussione la Torino-Lione e dai dem ottengono la messa in quarantena del progetto tanto caro a Salvini e ai governatori della Lega. La diplomazia del viceministro Castelli per tentare di far nascere il governo Ursula

“Cosa fatta capo ha”. La Tav non sarà un problema per un possibile governo Ursula (dal fronte Pd-M5s che ha votato la presidente della commissione europea von der Leyen) o come altro potrebbe essere definito quello che metterebbe la Lega all’opposizione. Nel caso non bastasse quell’“archiviazione” della Torino-Lione, passata per il via libera del premier Giuseppe Conte e lo sventolare dello sgualcito vessillo No Tav da parte dei grillini con la mozione con cui chiedevano di impegnare il Parlamento anziché il Governo proteggendo l’esecutivo, si profilerebbe un utile (per i Cinquestelle) scambio: l’Alta Velocità in cambio della frenata sull’Autonomia.

Quei poteri rafforzati alle Regioni, bandiera di Matteo Salvini e obiettivo irrinunciabile per il suo partito al Nord, si sa che non piacciono per nulla a Luigi Di Maio i cui ministri hanno fatto fronte compatto per frenare l’iter, con conseguenti incazzature dei governatori di Lombardia e Veneto, ovvero il Fort Knox dei voti del Carroccio. Non è, quindi, immaginabile che in un probabile Governo senza più il Capitano a premere (a sua volta spinto da Luca Zaia, Attilio Fontana e il partito del Nord) i Cinquestelle perdano l’occasione per difendere il loro bacino elettorale al Sud, infilando in fondo a un cassetto quel dossier che il ministro leghista Erika Stefani non è riuscita, proprio  per gli ostacoli posti dai colleghi pentastellati, a far procedere.

Ad agevolare la digestione della Tav da parte del M5s sarebbe il tutto sommato scarso appetito del Pd verso quell’autonomia rafforzata, tema che non ha mai appassionato più di tanto i dem, come conferma la partenza in ritardo e a velocità ridotta della giunta di Sergio Chiamparino nell’ultimo scampolo di legislatura. La stessa Emilia-Romagna, con il presidente piddino Stefano Bonaccini, ha segnato il suo percorso verso ulteriori competenze, chiedendone solo una parte e tenendosi ben lontana dal referendum, usato invece da Zaia e Fontana. “Dai Matteo, proprio adesso che stavamo arrivando all'autonomia…”. Questo avrebbe detto Conte a Salvini che gli annunciava la decisione di staccare la spina. Un retroscena quello rivelato ieri sera Gian Marco Centinaio parlando alla Versiliana cui il ministro leghista ha aggiunto una postilla – “ma se ci hanno detto di no…” – ad ulteriore conferma del fermo ostracismo grillino all’aumento dei poteri alla Regioni del Nord.

Insomma, è una carta, quella dell’Autonomia, che il Pd non ha certo interesse a mettere sul tavolo di un’eventuale trattativa, anzi togliendola dal mazzo o facendola finire in fondo darebbe a Di Maio lo scalpo di Salvini acuendo per lui un problema proprio al Nord dove a Veneto e Lombardia si è accodata in tutta fretta anche la nuova maggioranza al governo del Piemonte. “Questa sarà la legislatura dell'autonomia” ha annunciato fin dal suo insediamento Alberto Cirio. E sul tema si è snodata e pure avvitata (con la questione della commissione) l'azione della Lega con il presidente del Consiglio regionale Stefano Allasia.

Non più ostacolo insormontabile, la Tav, resta tuttavia una questione che i Cinquestelle senza più l’ormai ex alleato leghista devono maneggiare con attenzione, anche nella non remota eventualità di uno scambio con la messa in quarantena dell’Autonomia. Questione, quella della Torino-Lione, cui da tempo sta lavorando la diplomazia segreta (ma poi non troppo) pentastellata con ambasciatrice di rango Laura Castelli. I contatti del viceministro al Mef, non solo con i vertici del Telt, a partire da direttore generale Mario Virano, ma soprattutto con lo stesso centrosinistra sono ormai noti. Nella fase di traduzione pratica del reddito di cittadinanza, ad esempio, sono stati frequenti i contatti con Giacomo Portas, al punto che sarebbe stato il leader dei Moderati ad aver suggerito alla Castelli l’inserimento delle società interinali, oltre a Caf e patronati, tra i soggetti da coinvolgere. Appeasement che arriva fino alla bestia nera dei No Tav, l’ex senatore del Pd Stefano Esposito, che un paio di volte sarebbe stato visto uscire dalle stanze di via XX Settembre. A tessere una tela complicata come questa, soprattutto in Piemonte dove l’annunciato fuoco e fiamme dei movimenti No Tav in Valsusa si sono rivelati ad oggi poco più che fuochi fatui, ci sarebbe anche il deputato dai natali rivolesi Luca Carabetta. Già collaboratore di Ivan Della Valle, finito al centro della bufera sui rimborsi taroccati, per aver svolto la sua corvée grillina a Buttigliera Alta nei comitati ambientalisti contrari alla Tav è una delle figure più ascoltate ed emergenti dell’ala dialogante, quella che non intende assecondare colpi di testa delle frange più radicali della Sala rossa.

E proprio a Torino i Cinquestelle potrebbero avere i problemi maggiori nel caso, praticamente certo dopo le parole del premier, non riportassero in discussione la Tav in un esecutivo senza più il partito di Salvini, ma con un Pd il cui sì alla Torino-Lione è altrettanto se non più deciso. Confinare la grande opera a questione regionale, spegnendo su essa i riflettori e togliendo il suo partito dalla graticola, è la strada imboccata da Di Maio.

Che cosa si siano detti, parlottando a lungo durante la seduta del Senato di martedì scorso, la Castelli e il capogruppo del Pd Andrea Marcucci non è dato sapere, ma anche quel conciliabolo va inserito nella lettura di quel che tra i due partiti si va scrivendo, compresa la Tav e l’Autonomia. E il nient’affatto improbabile baratto. Parafrasando l'Avvocato Agnelli  il quale, nel '98 votando a favore di Massimo D'Alema presidente del Consiglio, spiegò che ci sono casi in cui un Governo di sinistra è l'unico che possa fare politiche di destra, ci potrebbe volere un Governo dei Cinquestelle per fare la Tav. Senza più discuterne.

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