Accordo M5s-Pd non è un tabù

Sono giorni difficili e tormentati per la nostra democrazia, per la buona politica ed anche per il Pd. Si è aperta una crisi di Governo di cui nessuno immagina l’esito finale e a causa della quale si è parlato molto e ancora si parla di scioglimento anticipato delle Camere. Ma l’idea che si debba necessariamente tornare al voto non mi persuade. Certo, se non vi fossero alternative lo scioglimento diventerebbe inevitabile, ma bisogna ricordare che il  Governo giallo-verde non è scaturito dalla volontà degli elettori. Il M5s e la Lega si sono presentati alle elezioni del 4 marzo 2018 come partiti irriducibilmente avversari, e ci sono voluti tre mesi per siglare un accordo (il famigerato contratto) durato poco più di un anno. Dunque è legittimo, adesso, pensare a una maggioranza diversa. La nostra è una democrazia parlamentare e, dunque, i Governi nascono in Parlamento. Ed è in Parlamento che si formano e si sfaldano le maggioranze di Governo (non sulle spiagge o nelle piazze di paese). Naturalmente tocca alle forze politiche mantenere aperto e costante il dialogo con gli elettori, mostrare una capacità di ascolto vera e ravvicinata delle comunità locali e non dare la sensazione dell’arroccamento o dell’autosufficienza. Ma poi occorre decidere, certo, lungo il tracciato indicato dal Capo dello Stato e secondo il principio dell’interesse generale e del bene comune.

L’ho scritto e detto in tempi non sospetti, non mi spaventa l’idea di un accordo con i grillini. Salvini, con il suo nazionalismo sovranista, che avvelena la convivenza e fa crescere odii, paure e rancori di ogni tipo, stimolando i sentimenti peggiori degli italiani, è il vero pericolo della nostra democrazia. Abbattere l’Europa, contrastare la moneta unica, spostare verso est il nuovo baricentro della politica estera italiana e diventare uno staterello al servizio di un disegno di destabilizzazione e di indebolimento dell’Unione Europea. Questi sono gli obiettivi di Salvini e del rinsaldato asse di centrodestra. Senza dimenticare le pulsioni autoritarie e illiberali disseminate in ogni ambito della vita civile e politica, con le mille divise indossate in ogni angolo della Nazione e le inaccettabili normative sulla sicurezza introdotte in sfregio della Costituzione.

Dunque è doveroso verificare la possibilità di un’intesa tra Pd, il M5s, Leu, ed altre forze parlamentari di centrosinistra, nell’alveo dei principi costituzionali, con un dichiarato impegno in chiave europea e sui punti essenziali di un patto di legislatura. Penso ad un accordo fondato su lavoro, crescita sostenibile, sostegno della natalità e delle famiglie, infrastrutture, tutela dell’ambiente e del territorio, scuola e formazione, lotta alle mafie e alla corruzione, contrasto delle povertà, lotta all’evasione fiscale. È un percorso denso di difficoltà e di ostacoli, ma non impossibile. Un’impresa che richiede il coinvolgimento e l’impegno delle migliori personalità di cui dispongono i partiti, ricorrendo anche a figure di indubbia moralità e competenza della società civile. La condizione minima, però, perché il tentativo non sia destinato ad un sicuro insuccesso è l’unità del Pd, dei suoi gruppi dirigenti e del suo corpo associativo. Da questo punto di vista sarebbe bene evitare una discussione interna fondata sugli ultimatum, gli ostracismi o le invettive senza fine delle correnti e dei capicorrente, le ambizioni senza limiti degli ex, le minacce di scissione o di separazione. Forse si potrebbe pensare ad una qualche forma di consultazione degli iscritti alle primarie, in una giornata di mobilitazione generale per la discussione e la votazione finale. Sarebbe una bella novità, non solo per il Pd, ma per l’intero campo del centrosinistra.

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