Diffondere il virus nero

Alcuni residenti di Lampedusa sono stati recentemente coinvolti nell’ennesima intervista incentrata sui malumori collettivi maturati in seguito ai continui sbarchi di migranti sull’isola (nello specifico la vicenda della nave Open Arms). Con estremo candore molti degli isolani interpellati dai giornalisti si sono definiti nazionalisti, rigettando con sdegno ogni accusa di razzismo.

Il clima culturale dominante permette l’uso disinvolto di termini di cui sovente non si conosce il reale significato (come nel caso citato), magari ammantandoli pure di valori positivi poiché immaginati privi di disvalori.

Gli abitanti dell’isola interrogati dalla stampa non si sono resi conto di aver vantato una vicinanza pericolosa alla stessa ideologia che in passato è stata alla base della nascita del nazismo (nazional-socialismo) così come del fascismo (Partito Nazionale Fascista). Il nazionalismo è stato causa di un sanguinoso conflitto mondiale che ha generato milioni di morti e negli anni ’90, epoca vicina a noi, della violenta disgregazione dello stato jugoslavo.

Attualmente il sovranismo, declinazione moderna del concetto identitario di “Patria”, ha il cosiddetto vento in poppa grazie a un’opera propagandistica molto efficace iniziata alcuni anni fa. Il suo successo attuale ha ingredienti assai complessi, tra i quali spiccano la visione romantica e machista del fascismo raccontata da alcuni giornalisti e i consistenti errori commessi dalle forze progressiste filo europeiste, rivelatesi totalmente incapaci di sottrarsi dal volere degli affaristi globalizzati, ma pure poco sensibili nei confronti di coloro che sopravvivono nelle periferie urbane tra disoccupazione e povertà.

Qualsiasi sociologo, anche alle prime armi, sarebbe stato in grado di raffigurare a livello teorico le conseguenze innescate dai consistenti e continui flussi migratori, incessanti dalla rovinosa fine del Patto di Varsavia, diretti alla volta di comunità attanagliate dalla crisi occupazionale ed economica.

Malgrado interi capitoli della storia occidentale riportino di popoli erranti in cerca di cibo, incluse le implicazioni sociali che si sviluppano nelle società dove gli esuli giungono, gli ultimi governi italiani non hanno stanziato risorse nell’integrazione culturale, non preoccupandosi neppure di contrastare il crescente rigurgito neofascista aiutato dalla paura per “l’invasione in atto”.

Negli ultimi decenni si è assistito a una costante riabilitazione di Mussolini e dei suoi accoliti. Il primo a inaugurare la fase del revisionismo storico, in chiave anti-partigiana, fu Silvio Berlusconi che venne per tale ragione soprannominato il “Cavaliere Nero”. Il leader di Forza Italia pur di arrivare a Palazzo Chigi sdoganò il Movimento Sociale Italiano, trasformandolo da forza politica semi eversiva a partito di governo dai tratti salienti anticostituzionali, in quanto le sue radici affondavano nel ventennio del regime.

I primi risultati dell’efferata apertura a Destra dell’esecutivo berlusconiano si riscontrarono già nel luglio 2001 a Genova, sede della riunione G8, dopo appena un mese dall’insediamento alla Presidenza del Consiglio del leader forzista. Nel capoluogo ligure i dimostranti furono caricati violentemente dalla polizia e oltre alla morte del giovane Giuliani, ucciso dalla pistola di un carabiniere, il sangue venne versato da tutti quei manifestanti fermati dalle forze dell’ordine e immediatamente torturati nella caserma di Bolzaneto (l’Italia ha ammesso la grave violazione dei Diritti Umani avvenuta in quei giorni, ma solo innanzi ai governi esteri durante il risarcimento dei loro cittadini seviziati).

All’epoca dei fatti l’onorevole Gianfranco Fini (leader di Alleanza Nazionale e prima del Msi) ricopriva l’incarico di vicepresidente del Consiglio, e da quello scranno non perse occasione per riabilitare il ventennio delle leggi razziali nonché delle persecuzioni politiche. I rappresentanti del governo raramente partecipavano alle celebrazioni del 25 aprile, rimarcando così la loro distanza dai valori della lotta di Liberazione.

Verso la fine della legislatura l’esecutivo riuscì infine a far approvare l’istituzione della “Giornata del ricordo” (legge del 30 marzo 2004), commemorazione dedicata alla strage delle Foibe, naturalmente rivisitata in chiave anti-Tito ed evitando qualsiasi richiamo ai morti per mano fascista.

Dal 2001 a oggi (19 anni) l’assoluzione storica delle camicie nere non ha conosciuto sosta, indimenticabili i saluti romani di coloro che celebravano l’insediamento di Gianni Alemanno a sindaco di Roma nel 2008, facendo infine scattare l’agognato disco verde alle celebrazioni pro Duce. I nostalgici potevano finalmente affermare senza vergogna alcuna “Io sono Fascista!”, non rischiando neppure di incorrere nel reato di apologia del fascismo (norma tutt’ora in vigore).

Purtroppo la Sinistra ha una pesante parte di responsabilità nella rivalorizzazione in corso del regime mussoliniano. Le divisioni interne, i personalismi e la sostanziale incapacità nell’affrontare l’emergenza migratoria hanno condannato le forze politiche egualitarie all’estinzione. I leader progressisti non sono stati in grado di prevedere cosa potesse accadere innanzi all’arrivo di tanta povera gente in fuga dalla fame. Dai banchi del governo le forze di Centro-sinistra si sono rifiutate di varare politiche dell’inclusione, tantomeno dell’integrazione sociale e del contrasto allo sfruttamento, favorendo così lo scoppio dell’inevitabile “guerra tra poveri”.

La dura repressione dei No Global a Genova ha soffocato sul nascere, a suon di manganello, il giovane movimento pacifista e anticapitalista che univa forze cattoliche e sociali, mentre la Sinistra extraparlamentare negli ultimi anni ha visto ridursi il ruolo che aveva ritagliato sin dagli anni ‘90 nella costruzione di una moderna cultura antagonista. La crisi dei collettivi vede la sua triste sintesi nel quartiere ribelle romano di San Lorenzo e in particolare in via Dei Volsci dove si trovava il cuore rosso della capitale, oggi sede di alcune aggregazioni nazifasciste.

Il presidente del Consiglio dimissionario, Giuseppe Conte, ha finalmente lanciato il grido d’allarme per lo stato di salute della nostra Democrazia costituzionale. Il premier ha rimarcato viva preoccupazione innanzi alla richiesta di poteri speciali (per contrastare l’immigrazione) da parte del suo alleato Ministro degli Interni, così come si è detto turbato dalla chiamata leghista in piazza, per condizionare il volere delle Camere. Parole importanti espresse purtroppo solamente in occasione delle dimissioni parlamentari del suo governo.

Una malattia può colpire il corpo in pochi attimi, mentre per guarire dalla patologia occorrono mesi, a volte anni. Il fascismo è un male contagiosissimo che divora la Democrazia e la Carta fondamentale. Cadere nel suo abbraccio mortale è questione di un attimo, ma è molto lunga la sofferenza che si patisce per recuperare la salute e vincere sulla sua stretta letale.

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