GEOGRAFIA POLITICA

Autonomia al bivio, Cirio deve scegliere

Trincerarsi dietro i colleghi leghisti di Veneto e Lombardia sulla linea "radicale" oppure definire con realismo un modello per il Piemonte? Insomma, per il governatore è tempo di fare politica. Giorgis (Pd): "Abbassare le bandiere ideologiche"

C’erano i Cinquestelle che frenavano temendo di perdere voti al Sud e la Lega che pigiava un piede sull’acceleratore, rallentando però con l’altro il percorso collaterale, per agevolare le regioni del Nord. Così l’autonomia rafforzata di strada in questo anno e mezzo ne ha fatto poca e adesso, se nascerà il governo giallorosso, si troverà a un bivio. Quale direzione prenderà il Piemonte, la cui nuovo amministrazione di centrodestra ha voluto battezzare la legislatura proprio nel nome di quei maggiori poteri rivendicati allo Stato, annunciando di voler “chiedere tutto” emulando il Veneto e prendendo la rincorsa per mettersi al pari della Regione di Luca Zaia e della Lombardia di Attilio Fontana?

Come si muoverà il loro collega Alberto Cirio con la Lega azionista di maggioranza in Piemonte, ma fuori dal Governo nel Paese? Terrà la linea indicata fin dal suo insediamento, facendo fronte comune con il Lombardo-Veneto e seguendo il facilmente immaginabile canovaccio salviniano di accuse al nuovo esecutivo, con il rischio di non portare a casa nulla? Oppure la realpolitick potrebbe indurre il governatore ad aggiustare la direzione e, senza abiure, togliere almeno in parte il vessillo dell’autonomia agli alleati salviniani, adeguare e mitigare senza snaturarle le richieste, incassando quel risultato che né il Veneto né la Lombardia sono riusciti a fare con Matteo Salvini vicepremier e un altro loro ministro, Erika Stefani agli Affari Regionali e Autonomie?

Certo non sarà, indigeribile per grillini e Pd, l’autonomia dura e pura invocata con i referendum a Venezia e Milano e promessa dal presidente del Consiglio regionale Stefano Allasia. “Bisogna abbassare le bandiere ideologiche della separazione, della sovranità dei territori e ragionare in maniera pragmatica su come meglio organizzare e amministrare l’esercizio delle funzioni, contribuendo all’interesse generale di tutto il Paese”, spiega Andrea Giorgis, deputato della sinistra Pd, costituzionalista e in queste ore più che papabile a una poltrona di ministro, magari proprio al dicastero che si occuerà di riforme e questioni regionali.

Dal Pd a lanciare segnali di apertura i Cinquestelle sulla questione totem del Carroccio ieri di buon mattino era stato Stefano Bonaccini: “Ho apprezzato molto le parole di Luigi Di Maio – ha detto il governatore dell’Emilia Romagna, unica regione rossa a percorrere sia pure con richieste meno radicali e senza indire referendum lo stesso percorso di Veneto e Lombardia – perché ha affermato che non vuole fermare l'autonomia ma che contestualmente bisogna indicare i cosiddetti livelli essenziali di prestazione”.

Le reazioni della Lega non si sono fatte attendere: dalla (ex) sottosegretaria Lucia Borgonzoni – “Bonaccini lo sa che sono stati proprio i Cinquestelle ad aver bloccato l'autonomia che la Lega chiedeva da mesi? Si è reso conto che proprio questo è stato uno di quei no che non abbiamo più tollerato” – all’assessore lombardo Stefano Bruno Galli che in risposta all’esortazione del presidente dell’Emilia-Romagna a “ripartire da quello che avevamo già sottoscritto con Paolo Gentiloni oltre un anno e mezzo fa” accusa: “Bonaccini vorrebbe gettare alle ortiche tutto il lavoro fatto in quest'ultimo anno e mezzo”.

Tra una schermaglia e l’altra, sono proprio quei livelli essenziali di prestazione, i Lep, a sollevare il velo su quel che è successo nel Governo gialloverde attorno al processo di applicazione del quarto comma dell’articolo 116 della Costituzione, insomma a quell’autonomia rafforzata, tirata di qua e di là a seconda dei partiti.

“La Costituzione prevede che siano garantiti su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Non si può prescindere da ciò – osserva Giorgis – perché la definizione di questi livelli presuppone che si siano a loro volta definiti i costi standard di ogni servizio”.

E qui casca la mano del Carroccio, sul freno a mano: “Il Governo ha ritardato di molto la nomina del presidente della commissione tecnica presso il Mef alla quale spetta definire i costi standard. In questa situazione Veneto e Lombardia hanno detto: vogliamo l’autonomia subito e se nell’anno non vengono definiti i costi standard ci tratteniamo ancora più risorse. È chiaro che scommettono contro i costi standard, contro i Lep. Diversa la posizione di Bonaccini – evidenzia il deputato torinese del Pd – il quale chiede che si proceda sui fabbisogni standard”.

Altrettanto chiaro come il partito di Salvini che, pur con tutte le sorprese e le giravolte che questa crisi può riservare, si prepara a dare battaglia dall’opposizione, lo farà soprattutto al Nord proprio sul tema dell’autonomia. “Qualcuno vuol sacrificare tutto quello che si è fatto in questi 14 mesi per un’improbabile alleanza salva poltrone. Tutto può essere funzionale a sostenere l’inverosimile alleanza Pd-M5s” conclude Galli, l’assessore lombardo invitato settimane fa alla giunta regionale del Piemonte sull’autonomia.

Era stata quella l’occasione per ribadire, da parte di Cirio e non (per essere da) meno da Allasia quel “chiederemo tutto quel che si può chiedere”, esplicitato nell’annuncio: “Entro l’autunno riproporremo al Governo la richiesta di autonomia del Piemonte, con l’aggiunta di quelle materie che, a nostro giudizio, non sono state inserite dalla giunta precedente”. Per Cirio quella di Sergio Chiamparino, in verità del suo vice Aldo Reschigna vero artefice del dossier, era stata una richiesta “timida nei contenuti e nel metodo”. Meglio (in)seguire Zaia e Fontana.

Non è ovviamente d’accordo il Pd: “Il Piemonte dovrebbe avere ben chiaro che un acuirsi delle differenze che attraversano il nostro Paese e una chiusura dentro i propri confini sarebbe un danno enorme”, osserva Giorgis, a detta del quale occorre “abbandonare ogni demagogia autonomista e valutare quali competenze possono essere meglio esercitate dalla Regione. Senza rivendicare una sovranità del Piemonte”.

Il deputato dem, al quale la nascita del governo Lega-Cinquestelle aprirebbe la porta di un ministero, quasi certamente legato al suo profilo accademico, ricorda come il suo partito abbia proposto “una legge quadro attuativa dell’articolo 116 che definisca i criteri sulla base dei quali si può misurare se una Regine può meglio esercitare una certa funzione o meno. Senza prove di forza”. Di certo non se ne profilano all’orizzonte tra Pd e Cinquestelle, almeno sull’autonomia.  

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