L'importanza di chiamarsi Matteo

L’importanza di chiamarsi Ernesto è il titolo di una commedia teatrale, scritta nel 1895 da Oscar Wilde, la cui sceneggiatura potrebbe essere oggetto di un’ennesima rivisitazione cinematografica: “L’importanza di chiamarsi Matteo”.

La tradizione popolare unisce il destino delle persone agli astri, oppure al nome ricevuto dai propri genitori al momento dell’iscrizione nei registri dello stato civile. Osservando le vicende politiche nostrane la tentazione è quella di avallare la seconda delle ipotesi in premessa (volendo dare credito alle antiche credenze), consegnando quindi rilievo al dato anagrafico e attribuendo al medesimo le scelte che farà il nascituro una volta diventato adulto.

“Matteo” è un nome sempre presente nelle cronache della politica, poiché torna quotidianamente alla ribalta tramite due individui dalle caratteristiche personali e caratteriali assai simili.

L’attuale segretario della Lega, nonché ministro degli Interni e del Bar dello Sport, ha avuto un passato da concorrente televisivo, esattamente come l’ex segretario Pd. Ambedue i soggetti hanno una grande considerazione di se stessi, dimostrando in ogni occasione pubblica un ego smisurato che alle prime parole rilasciate alla stampa diventa un “super-ego”.

I due Matteo hanno sovente compiuto vere e proprie capriole politiche, esibendosi in spericolati avvitamenti in volo, seppur di tanto in tanto dagli atterraggi su massi granitici e non sempre indolori. I cambiamenti di linea sono il piatto forte sia di Renzi che di Salvini: i due amano variare le geometrie delle alleanze parlamentari, riportando in auge le mai troppo compiante “convergenze parallele”.

Il vicepremier padano è riuscito a compiere un’opera complicatissima quale lo sfiduciare il governo di cui era parte, per poi pentirsene immediatamente dopo e rincorrere gli ex alleati inviando loro missive contenenti ghiotte promesse e strazianti preghiere di riconciliazione.

“Vi sfiducio, ma rimango ministro tutto fare, anzi no. Forse scherzavo, forse il sole del lido marittimo mi ha fatto davvero male”: questo è in sintesi il pensiero del Capitano. Un Salvini in piena rotta di collisione con il proprio alter ego, senza bussola e in mare aperto a sfidare i disperati in fuga dalle coste africane. Il bluff non ha retto al tavolo di gioco, così da subire una sconfitta madornale nonché difficile da spiegare alla base padana, se non ricorrendo al solito repertorio ricco di slogan banali.

Invece di trasformare i favorevoli sondaggi elettorali in voti, come dichiarato a Conte nelle motivazioni della sfiducia, il Matteo verde rischia ora di essere emarginato: messo in un angolo da nuovi e da vecchi alleati.

Il Matteo democratico invece è tornato in piena forma, seppur dopo aver commesso negli anni scorsi una serie di clamorosi errori, sia nelle vesti di premier che in quelle di dirigente apicale del PD.  La sua abilissima manovra a favore del dialogo con il M5s (forse suggerita da un bravo mentore o forse no) ha riportato in primo piano la politica insieme al Parlamento. Renzi ha saputo cogliere il grido di dolore lanciato in conferenza stampa dal dimissionario Conte, sbaragliando così clamorosamente i progetti di leadership governativa imbastiti maldestramente dal suo omonimo.

I due Matteo si sono trovati fianco a fianco quando hanno deciso, seppur partendo da motivazioni opposte, di rendere infernali le vacanze estive dei deputati e dei senatori.

Il varo di un governo sorretto da una maggioranza nuova, che non definirei rosso-gialla ma bianco-gialla, è un colpo di scena gettato con maestria in una trama assolutamente prevedibile. La narrazione della crisi causata da Salvini aveva invero un inizio stucchevole dall’epilogo scontato, poiché incentrato in un’ennesima chiamata degli italiani alle urne e una susseguente probabile vittoria leghista.

Comunque vadano le consultazioni indette dal Presidente della Repubblica, restano sul tappeto i problemi eternamente insoluti: lavoro, delocalizzazioni produttive, sanità per tutti, infrastrutture utili davvero. Gli italiani, sempre più spaventati e quindi in balìa di millantatori e imbonitori da fiera, perdono continuamente terreno sia sul campo della tutela dei diritti che della dignità.

Disoccupazione, povertà, aree terremotate saranno i campi su cui la nuova maggioranza dovrà fare scelte importanti: le sole in grado di etichettare l’esecutivo nascente. Su quei fronti capiremo se l’occasione fornita preterintenzionalmente dal Matteo leghista sarà di reale cambiamento, oppure se si manifesterà come il solito ritorno alla conservazione fine a se stessa, utile solo a mantenere saldo il potere.

In chiusura rivolgo un pensiero al Tav, o meglio al movimento che da decenni ne contrasta la costruzione nel tratto valsusino, e pronto a ricevere l’ennesimo schiaffo in volto a mano aperta da coloro che dicono sempre “Sì”: “Sì” al Tav e in passato “Sì” al Mose, salvo poi in questo ultimo caso prendere atto dell’aver speso enormi quantità di denaro per danneggiare l’ecosistema della laguna di Venezia e creare ulteriori problemi anziché risolverne.   

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