TRAVAGLI DEMOCRATICI

Pd, "ora ridiscutiamo dei vertici"

L'area riformista presenta il conto per non aver seguito Renzi nella scissione. Borghi mette nel mirino via Masserano: "Assetti frutto di una stagione superata dagli eventi". E per Torino non chiude le porte a un'intesa con il M5s "ma occorre un progetto"

“Un congresso? Forse, dopo la scissione renziana e un mutamento profondo rispetto al 2018 il Pd ha bisogno addirittura di una fase costituente. E non si può immaginare di adeguare il partito a un nuovo quadro senza partire dai territori. In Piemonte più che altrove: qui il candidato alla segreteria della vasta area riformista è passato con Italia Viva e la stessa segreteria non rispetta certo la situazione attuale”.

Se non è un avviso di sfratto per gli attuali vertici regionali del Pd, quello di Enrico Borghi è un avvertimento: andare avanti così non ha senso. Il deputato ossolano, segretario d’Aula a Montecitorio e appena nominato componente del Copasir, è da pochissimo anche il referente regionale di Base Riformista, la componente guidata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini che, mentre la nuova forza politica di Matteo Renzi ancora deve darsi una struttura, si è organizzata come un partito nel partito: un coordinatore nazionale (Alessandro Alfieri), un portavoce (Andrea Romano) e coordinatori in ciascuna regione.

“Ma quale nuova scissione, ma non scherziamo. Ci stiamo organizzando meglio. L’uscita di Renzi e degli ultras renziani hanno accelerato la necessità di consolidare e, appunto, organizzare meglio l’area riformista anche e soprattutto dopo la scissione e la nascita del Governo con i Cinquestelle”. Questo nel partito il cui segretario Nicola Zingaretti ha sempre descritto, non credendoci per primo lui, come senza correnti. E, come ragiona chi guarda con attenzione e qualche sospetto a questa strutturazione di Base Riformista, un conto è fare una corrente, altro è addirittura nominare dei “segretari regionali" di componente.

Quello del Pd in Piemonte non sembra poter stare tranquillo più di tanto, sereno in senso renziano magari sì. Paolo Furia, arrivato al vertice di via Masserano in virtù dell’accordo con Monica Canalis (diventata sua vice) e soprattutto con il suo padrino politico Stefano Lepri, è in quella posizione che agli occhi degli ex renziani rimasti nel Pd appare tutto meno che solida e destinata a durare. “E nessuno pensi che basti un rimescolamento di posti, insomma una soluzione dorotea della questione” dice l’ex democristiano Borghi. “La questione non si risolve con il bilancino, qui si tratta di prendere atto di una situazione profondamente cambiata”. Certamente a sufficienza per non immaginare di arrivare a ridosso di appuntamenti importanti con l’attuale struttura dirigente del partito a livello regionale. Prima ancora per Borghi c’è un passaggio ineludibile: “Archiviare per sempre la stagione di via Chiesa della Salute”. Quasi una bestemmia nella sacrestia laica di quella parte di Pd erede della tradizione comunista, scuola alla quale – appunto in via Chiesa della Salute – crebbero e perpetuarono loro discepoli Piero Fassino e Sergio Chiamparino. E poi "finirla con l'elaborazione del lutto" per le sconfitta prima alle comunali sotto la Mole, poi in Regione e ancora in non pochi comuni. 

Archiviare, superare. Il candidato alla segreteria regionale della vasta area allora renziana e post-renziana, Mauro Marino (il cui aver preso il maggior numero dei voti non gli servì a impedire il patto Furia-Canalis) “ha deciso di aderire a Italia Viva, peraltro senza neppure scriverci due righe”, naturale che la componente di Lotti e Guerini, nella sua struttura di partito nel partito, non sia disposta a considerare del tutto naturale un prosieguo dell’attuale assetto di via Masserano. Un silente e defilato Davide Gariglio, che quella sede la occupò per anni da titolare, è un altro aspetto che salta fuori nell’iperattività della corrente. Vere le voci di un suo avvicinamento a Lepri?

Si diceva degli appuntamenti cruciali. E cosa di più se non le future elezioni comunali a Torino? Una parte del Pd ormai indica con nettezza la strada dell’alleanza di Governo da applicarsi anche alle amministrative. L’Umbria domani sarà un durissimo banco di prova, poi ancor più importante (soprattutto per la tenuta del Governo) la Battaglia di Stalingrado in Emilia-Romagna a gennaio. Ma sotto la Mole davvero il Pd arriverà a decidere compatto che si deve stare insieme ai Cinquestelle? Da giovane vecchio democristiano, Borghi sposta la questione su un piano diverso senza dire no, ma neanche sì, “perché il mai in politica spesso finisce per dover essere smentito”, e carica il centrosinistra di un ruolo importante: “Serve un progetto per Torino, una città europea che non può essere trattata alla stregua di altri comuni. Dopo Tangentopoli si riuscì a progettare un futuro e su quello si proseguì per un quarto di secolo” spiega, rievocando l’Alleanza per Torino che portò a Palazzo Civico Valentino Castellani. “Oggi bisogna lavorare con quello spirito. E spetta al centrosinistra farlo. Se altri condivideranno il progetto bene, ma non si deve andare al traino di nessuno. Non è scritto da nessuna parte che in alcuni contesti non si possa replicare l’alleanza di Governo, ma neppure il contrario”. 

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