ISTITUZIONI

Più autonomia per le grandi città, ma Appendino diserta il summit

I sindaci di Roma, Milano e Napoli chiedono di gestire direttamente alcuni comparti di spesa e incassare i tributi senza aspettare i trasferimenti centrali. L'assenza di Torino? "Nessuno ci ha contattato", afferma il consigliere metropolitano De Vita

Attraversa il Paese dal Nord al Sud, ma l’asse delle città metropolitane che non vogliono limitare alle Regioni una maggiore autonomia rivendicandola anche per loro, non tocca Torino. Non c’è Chiara Appendino nell’inusuale e inatteso accordo tra i primi cittadini di Napoli, Luigi De Magistris, di Roma Virginia Raggi e di Milano Beppe Sala per elaborare una proposta che verrà presentata al ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Francesco Boccia e che, sostanzialmente, prevede la possibilità per le città metropolitane di gestire direttamente alcuni comparti di spesa e incassare i tributi senza aspettare i trasferimenti centrali.

Una mossa, per molti versi, sorprendente guardando ai diversi posizionamenti politici dei tre sindaci, che ha subito suscitato reazioni non certo positive dalla Lega, che sospetta possa essere un escamotage per perdere tempo nel percorso verso quello che resta una bandiera per il partito di Matteo Salvini e in particolare per le regioni del Nord, non ultimo il Piemonte. Ma se è comprensibile il sospetto sul fronte leghista, meno risulta la mancata partecipazione della Appendino a quel gruppo ristretto ma molto pesante di sindaci, del quale fa parte la pentastellata Raggi. Ancora una volta come sempre più spesso accade da un po’ di tempo, Torino mostra di restare indietro e di molto rispetto a Milano.

“Con il sindaco di Milano il dialogo va avanti da tempo, poi si è aggiunta la sindaca di Roma”, ha spiegato De Magistris lasciando chiaramente intendere che non ci sarebbero stati veti od ostacoli a un’eventuale ingresso nel gruppo di lavoro delle grandi città da parte di Torino che, invece, pare rimasto alla finestra. “Nessun contatto e nessun ragionamento in tale senso”, conferma Dimitri De Vita, consigliere del M5s in Città Metropolitana, escludendo di fatto un approccio dell’ex Provincia al tema dell’autonomia rafforzata, sul quale invece i tre sindaci hanno elaborato una proposta normativa. De Vita ricorda, anzi, come proprio il M5s e la stessa Appendino abbiano contestato la norma che impone sia il sindaco del capoluogo a guidare la Città Metropolitana e, anche, come "sia fondamentale per l'ente di avere la capacità finanziaria per assolvere appieno le competenze". E questo potrebbe essere un aspetto tale da avvicinare Torino allo richiesta predisposta da Sala, De Magistris e Raggi. Una proposta che insieme a legittime istanze circa ulteriori possibilità e risorse per assolvere appieno ai compiti attribuiti dalla legge Delrio non può che mostrare anche risvolti politici: per De Magistris una possibile via per affrancarsi almeno in parte dal governatore Vincenzo De Luca, per Sala un modo con cui rispondere (suscitando, com’è avvenuto, irritazione le Pirellone del centrodestra) al totem autonomista della Lega e per la stessa Raggi forse un modo con cui accentuare anche a livello territoriale il suo ruolo di guida della Capitale e non lasciare solo alla sinistra questa operazione.

Per Appendino, sarebbe potuta essere l’occasione per lanciare messaggi non propriamente amichevoli verso piazza Castello e via Alfieri, togliendo almeno in parte lo stendardo autonomista al Carroccio piemontese e insinuandosi anche in questo caso tra centrodestra e centrosinistra in un dibattito che se è vero ha visto i Cinquestelle contrari in Regione, avrebbe potuto avere un differente risvolto posizionandolo su un tema che la legge attribuisce proprio alle Città Metropolitane e non anche alle Province: quello del coordinamento dello sviluppo socioeconomico, delega peraltro in capo proprio a De Vita. Ma è, soprattutto, l’ulteriore assenza o distanza rispetto a Milano che emerge anche in questa vicenda. Una storia ancora tutta da scrivere e con esiti impossibili oggi da prevedere, quella della proposta che arriverà sul tavolo del ministro Boccia.

Certo è che i temi sono concreti: uscire dall'attuale situazione di stallo in cui versano le grandi città metropolitane, senza strappi, ma con la possibilità di gestire direttamente alcuni comparti di spesa, dal trasporto pubblico locale all'edilizia scolastica passando per la gestione delle case popolari sino alla gestione dei fondi europei che dovrebbero essere erogati direttamente ai municipi.

“Le Città Metropolitane sono quattordici, anche se sono molto diverse tra loro ovviamente, ma senza dare giudizi, è chiaro che la riforma sia rimasta a metà”, ha detto recentemente il sindaco di Milano, spiegando come “da un lato, non vediamo segni di iniziativa rispetto al disegno futuro delle Città metropolitane, dall'altro, vediamo che questo percorso dell'autonomia si sta muovendo”. Che la cosa non faccia impazzire di gioia la Lega non stupisce: “Il governo deleghi le Regioni e organizzare il livello intermedio e non passi quell’obbrobrio delle Città Metropolitane”, diceva Roberto Maroni quando da governatore della Lombardia si era schierato in maniera netta contro la riforma Delrio. Sono passati anni e poco o nulla è cambiato.

Occasione persa, dunque, per Torino anche se c’è sempre il tempo per cercare di non rimanere indietro rispetto a Milano? “Il modello interregionale con un ruolo importante delle grandi città metropolitane e dei loro territori è quello giusto, soprattutto in un quadro europeo” sostiene il consigliere regionale del Pd Alberto Avetta fino a pochi mesi fa presidente di Anci Piemonte. “Su temi come la logistica, per fare un esempio, la funzione del coordinamento dello sviluppo economico la si può assolvere proprio con assi tra le grandi aree metropolitane". Ricordando il suo mandato di vicepresidente della Città Metropolitana, spiega che all'epoca "proprio forti di questa convinzione e del ruolo dell'ente, avevamo lavorato anche per cercare di ridare vita, pur con tutti cambiamenti necessari, al vecchio triangolo Genova-Milano-Torino”. Adesso al posto del triangolo c'è una linea che attraversa l’Italia, per chiedere più autonomia, da Napoli a Milano passando per Roma. Senza Torino. 

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