PANDEMIA ECONOMICA

Una mazzata per l'economia, "serve un piano d'emergenza"

Nel 2020 il pil del Piemonte perderà tra il 2,2 e il 4,2%. L'uscita dalla crisi sarà lunga e faticosa. I tre nodi: consumi, investimenti pubblici, esportazioni. Porchietto: "Da riscrivere il dossier competitività". Fca confermerà gli investimenti? Per ora si ferma e chiude gli impianti

Doveva essere il piano per il rilancio del Piemonte, si trasformerà in un piano d’emergenza per salvare il salvabile e ricucire il tessuto produttivo di una regione allo stremo. Secondo Claudia Porchietto, la deputata di Forza Italia cui Alberto Cirio aveva chiesto di elaborare un pacchetto organico di misure da 600 milioni di euro per dare una scossa all’economia piemontese “quella bozza ormai è tutta da rifare”. Il mondo economico e industriale guarda con apprensione crescente la curva dei nuovi contagi da coronavirus e sa che ha una relazione diretta con un’altra curva, quella del pil, che minaccia di scendere ben oltre una ordinaria recessione.

Secondo uno studio del Centro Einaudi l’indice della nostra economia, quest’anno, potrebbe scendere tra il 2,2% e il 4,2% (in valori assoluti si parla di perdite tra i 3 e i 5,8 miliardi). Molto dipende da quanto durerà l’emergenza. Il governo ha fissato al 18 marzo il picco dei contagi, ma ammesso che sia così servirà poi un periodo tutt’altro che trascurabile di assestamento. Insomma, la sensazione è che le attuali restrizioni possano essere ulteriormente prorogate, con buona pace di imprese e servizi. E poi, come sarà la ripresa? “È difficile capirlo, perché dipende da molte variabili – spiega Beppe Russo, autore del rapporto – di certo per tornare ai livelli precedenti a questa emergenza sanitaria ci vorranno almeno due o tre anni”. Per quanto riguarda il Piemonte, infatti, il Covid-19 sembra essersi accanito su un tessuto economico-produttivo già molto provato. Basti pensare che nell’anno passato le esportazioni avevano subito una contrazione del 3,5% rispetto al 2018, la produzione industriale aveva fatto segnare un -0,5%, mentre il pil avrebbe dovuto crescere nell’ordine dello 0,3%, secondo le proiezioni di Unioncamere, certificando di fatto uno stato di stagnazione. Questo è lo stato di salute dell’economia regionale quando si è presentata l’emergenza coronavirus, ben più cagionevole delle altre grandi regioni del Nord, come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

Ma quali imprese stanno patendo di più questa crisi? Secondo il segretario generale di Confindustria Piemonte Paolo Balistreri “innanzitutto ci sono le aziende medio-piccole” che soffrono particolarmente questi stress test “anche per la loro difficoltà di accesso al credito”. Penalizzato è anche “il settore manifatturiero classico, quello ad alta intensità umana, che dopo l’ultimo provvedimento concertato con il governo dovrà adeguarsi in modo stringente alle norme di sicurezza imposte per tutelare la salute dei dipendenti e non è facile”. In questo senso sono molto più avvantaggiate le aziende Ict e quelle avviate verso lo sviluppo del 4.0. Infine pagheranno dazio “le imprese esportatrici viste le difficoltà negli scambi con gli altri paesi”. E in ginocchio sono pure i comparti di cultura e turismo. 

Se i piccoli tremano anche per i colossi i marosi del mercato nascondono più d'una insidia. Uno dei primi effetti dell’emergenza sanitaria italiana li ha misurati Prima Industrie, che ha subito la concorrenza tedesca: con l’impossibilità dei suoi tecnici di raggiungere i clienti per normali operazioni di assistenza e manutenzione, alcune aziende estere hanno tentato di inserirsi in rapporti commerciali consolidati da tempo.

Nessuno può prevedere cosa resterà dopo questo ciclone che, va detto, sta colpendo tutti i paesi. Prima di analizzare lo scenario post-crisi Russo tiene a premettere che “gli argomenti economici oggi non devono guidare la politica sanitaria”. Insomma, per quanto dure siano le restrizioni è giusto che il governo faccia tutto quanto in suo potere per salvare più vite possibile ed evitare il collasso del sistema sanitario. Detto questo però è necessario anche chiarire che “guarito il contagio, la grande malata sarà l’economia” spiega Russo. Per dirla con certi analisti in questo campo “si scende in ascensore e si risale con le scale”, questo vuol dire che se il crollo è stato repentino, la ripresa sarà invece lenta e dipenderà da molteplici fattori, non solo interni. “Sarà necessario comprendere quante imprese avranno chiuso e quanti posti di lavoro si saranno persi e in questo sarà fondamentale la mano pubblica che dovrà contribuire a tenere a galla i privati con incentivi e ammortizzatori sociali. Se su quel fronte il sistema riuscirà a tenere allora sarà necessario rimettere in moto i consumi attivando la domanda interna”. Nel decreto atteso per oggi, il governo dovrebbe inserire un pacchetto di 5 miliardi per la cassa integrazione, una boccata d'ossigeno per imprese e lavoratori. Così la macchina lentamente si rimetterà in moto, ma non è sufficiente. Per dare una sterzata all’economia servirà “una forte politica di investimenti pubblici – prosegue Russo –. Secondo uno studio dell’Ance nel nostro Paese abbiamo più di 600 opere pubbliche ferme per un valore di 54 miliardi. È da lì che si deve ripartire, arginando quanto possibile le maglie della burocrazia”.

Si parla di un decreto sblocca-lavori sul “modello Genova” e Chiara Appendino ha già chiesto formalmente al governo di inserirci anche la seconda linea della metropolitana di Torino. Poi ci sarebbe la sempiterna autostrada Asti-Cuneo, le Città della Salute di Torino e Novara, la Tav e il Terzo Valico. Tutte opere già finanziate e incagliate qua e là tra una burocrazia ipertrofica e una politica incapace. E poi sarà necessario capire cosa succede fuori dai nostri confini perché “è evidente che finché non si normalizzerà la situazione almeno nel resto d’Europa sarà difficile ripartire vista anche la forte propensione alle esportazioni dell’Italia e in particolare del Piemonte”.

Anche la tanto attesa ripartenza dell’auto rischia di subire dei rallentamenti. Non è sfuggito a nessuno che tra le prime grandi aziende a sospendere l'attività c'è stata Fca che proprio oggi ha annunciato la serrata di tutti gli impianti. A questo punto più che un timore vi è quasi una rassegnata consapevolezza che i piani di rilancio slittino di un anno e quindi anche la ripresa di Mirafiori e Grugliasco dovrà attendere oltre i tempi annunciati dai vertici del Lingotto. 

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