EMERGENZA SANITARIA

Scudo (legale) per medici in prima linea

Tutela da possibili azioni giudiziarie ma anche risarcimento alle famiglie degli operatori morti in servizio. Dietro la retorica c'è la difficoltà e, spesso, la solitudine quotidiana dei camici bianchi

Medici che rischiano. La vita, di ammalarsi, ma anche non escludibili future denunce e processi come la storia insegna e come nessuno può essere certo non accadrà anche quando l’emergenza si affievolirà e dietro tragedie potrebbero sorgere dubbi ed eventuali azioni legali. Per questa ragione dalla Fismu, la Federazione italiana sindacale medici uniti, arriva la richiesta al Governo di una immunità, uno scudo legale, che consente ai camici bianchi “di lavorare durante tutta la crisi senza la spada di Damocle di future azioni giudiziarie”, come spiega il segretario generale del sindacato Francesco Esposito.

Nella richiesta presentata al ministro della Salute Roberto Speranza, la Fismu oltre che alla situazione che va oltre ogni prevedibile eccezionalità nella quale si trovano a lavorare gli operatori della sanità, fa esplicito riferimento anche alla spesso “insufficiente dotazione dei dispositivi di sicurezza forniti dalle istituzioni regionali”, come elemento di cui non si può non tenere conto. Rivolgendosi al presidente della federazione degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, il segretario del sindacato chiede l’apertura di un tavolo con le forze politiche proprio sul tema dell’immunità per i professionisti della sanità durante la crisi.

“Molti sono i decessi in queste settimane - spiega Esposito - e le condizioni in cui si lavora sono emergenziali. Non solo: sono molti i medici vittime del contagio, in troppi casi purtroppo in modo mortale, lungo è l’elenco dei caduti in questa battaglia. È come se fossimo in una situazione di guerra contro il Coronavirus, e –  aggiunge il sindacalista - abbiamo quindi bisogno di interventi speciali che tutelino il lavoro dei camici bianchi”. Augurandosi che la proposta “sia condivisa da tutti, perché è di buonsenso”, Esposito osserva come “bisogna essere coscienti che quelli che oggi sono considerati eroi, domani purtroppo potrebbero diventare i capri espiatori di ipotetici errori, magari organizzativi o amministrativi. Diamo oggi una prova di unità e forza serve una voce sola che dialoghi con il Governo Conte e che raccolga proposte dei sindacati, come questa, anche per evitare che nella categoria serpeggi oltre alla stanchezza e il dolore anche la preoccupazione per il futuro, ma pure per isolare chi soffia nel fuoco di un bieco corporativismo che rischia di dividere il Paese, in un momento di grande dolore.

L’Italia ha bisogno dei medici e di tutti gli operatori della sanità pubblica, ma le istituzioni li proteggano i medici, con i dispositivi di sicurezza, ma anche con uno scudo per la responsabilità professionale, civile e penale”.

Un tema importante. Non certo meno lo è quello degli indennizzi per il personale sanitario deceduto a causa del coronavirus. “Lo Stato dia un segnale forte e chiaro con un indennizzo alle famiglie di medici e infermieri deceduti per la loro attività di tutela della salute pubblica. Altrimenti noi siamo pronti a dare battaglia”. Le prime avvisaglie di strascichi giudiziari sulla questione Coronavirus arrivano da Torino, dove l’avvocato Gino Arnone ha ricevuto dalla famiglia di una “vittima professionale” l’incarico di esplorare la possibilità di muovere un’azione legale. In Italia i camici bianchi contagiati sono oltre 5.200. Ad oggi sul portale di Fnomceo, la Federazione degli ordini dei medici (pur precisando che la causa della morte non può essere direttamente ricondotta al virus perché “il tampone non viene effettuato”) compaiono, in un elenco listato a lutto, i nomi di trenta dottori deceduti nei giorni dell’epidemia. Secondo l’avvocato Arnone, già assistente alla cattedra di diritto civile all’Università di Torino, specializzato nei risarcimenti danni per infortuni sul lavoro e malasanità e politicamente vicino a CasaPound, “bisogna applicare la normativa prevista per le cosiddette vittime del dovere, che è stata azionata più volte per determinate categorie di soggetti. Si tratta di una legge nata originariamente per gli appartenenti alle forze di polizia e alle forze armate caduti (o rimasti invalidi) durante operazioni di servizio, ma che è stata ripetutamente estesa e aggiornata nel corso degli anni. Le circostanze legate al Coronavirus, naturalmente, sono senza precedenti, ma secondo l’avvocato vi rientrano a pieno titolo: la legislazione, infatti, ammette ai benefici il personale “impegnato in attività di tutela della salute pubblica”. E se c’è una categoria in prima linea contro la pandemia è proprio quella di medici e infermieri. Una volta ricevute le cartelle cliniche relative al caso di cui si sta occupando, Arnone preparerà le diffide. Il primo passo. I tamburi di guerra stanno suonando, ma secondo l’avvocato una strada per evitare lo scontro nei tribunali ancora esiste: basta che lo Stato cominci a staccare gli assegni.

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