VIRUS & POLITICA

Zingaretti ingaggia Bono, tensioni nell'Unità di crisi

Dopo Demicheli, passato in Lombardia, un altro pezzo da novanta della sanità piemontese emigra oltre confine. L'ex numero uno del 118 chiamato come super consulente per l'emergenza in Lazio. La linea "autarchica" della giunta Cirio

È stato uno dei padri del 118 in Piemonte. Da una settimana Danilo Bono lavora come superconsulente dell’Ares, l’azienda regionale per l’emergenza sanitaria del Lazio. Chiamato dal presidente Nicola Zingaretti, non risponde come da consuetudine alle domande dei cronisti, confermando l’understatement e la ritrosia ai riflettori che lo hanno sempre contraddistinto. Capitava così quando per moltissimi anni ha governato la macchina del pronto intervento e poi, a fine carriera, diretto la sanità piemontese e, arrivato al capolinea con possibilità di poter proseguire ancora, con senso del civil servant disse: “Vado via, anche se potrei restare”; aggiungendo: “Si continua se si è voluti”. Non lo volevano più. Il giovane dirigente del controllo di gestione dell’Asl cuneese Fabio Aimar era pronto per occupare la sua poltrona e l’assessore Luigi Icardi altrettanto per farlo accomodare, come poi accadde. “Non ho nessuna intenzione di aprire contenziosi con un ente per cui ho lavorato quarant’anni, nel sistema pubblico ci credo, non rivendicherò nulla”, disse Bono facendo gli scatoloni. E mantenne la parola.

Prima di lui, con nel mezzo altri direttori tra cui Paolo Monferino, Fulvio Moirano e Renato Botti, era toccato ad un altro cervello in fuga forzata oltreconfine: Vittorio Demicheli, epidemiologo alessandrino, oggi direttore dell’Azienda Tutela della Salute della Lombardia e chiamato a far parte dell’unità di crisi del Pirellone per il coronavirus. A dargli il benservito, all’epoca, fu la giunta di centrodestra di Roberto Cota.

La chiamata da Roma, per Bono, è arrivata giorni fa. La sua esperienza nella gestione dell’emergenza e la sua rete di conoscenze nel mondo clinico maturata in anni e anni non è sfuggita a chi sa di doversi confrontare con una situazione che potrebbe essere uguale o forse ancora più complessa di quella che sta vivendo il Piemonte. E mentre lui era già volato verso la Capitale, in corso Marche in una stanza attigua alla sala operativa dove dopo la quarantena faceva la sua prima ricomparsa Alberto Cirio, volavano gli stracci.

I toni a dir poco concitati del successore di Bono, Mario Raviolo, e dell’appena insediato commissario Vincenzo Coccolo hanno facilmente oltrepassato la porta chiusa dell’ufficio dove, oltre ai due, c’erano il governatore, Icardi e Aimar. Fuori, sbigottiti, il vicepresidente Fabio Carosso e l’assessore aila Protezione civile Marco Gabusi. Semplice, si fa per dire, scambio di opinioni o palese conferma di un clima teso che di sicuro non giova alla gestione di una situazione drammatica? Il volume del confronto sembra non lasciare troppo spazio a interpretazioni.

Da giorni Raviolo era sotto attacco da parte dei sindacati dei medici, ma anche dagli stessi Ordini provinciali per atteggiamenti e richiami formali a dir poco ritenuti inappropriati alla situazione da parte di chi sta in prima linea. La stessa decisione di affidare il ruolo di commissario all’emergenza all’ex direttore delle Opere Pubbliche è stata letta, da più parti, proprio come una indiretta risposta alle rimostranze dei camici bianchi verso il direttore dell’emergenza. Con l’arrivo di Coccolo nell’Unità di Crisi è arrivato anche il direttore generale dell’Asl To3 Flavio Boraso con il compito di coordinare l'area sanitaria.

Al di là delle beghe interne, però, una cosa appare chiara. Mentre tra le Regioni c’è la corsa ad accaparrarsi esperti e tecnici di comprovata esperienza, il Piemonte ha adottato la linea dell’autarchia. “Facciamo fuoco con la legna che abbiamo”, dice tra lo sconsolato e il rassegnato un esponente del centrodestra piemontese che, nei giorni scorsi, di fronte alle palesi difficoltà dell’Unità di crisi aveva suggerito di ingaggiare Guido Crosetto. “Se non altro avremmo potuto sfruttare la sua rete di relazioni internazionali, a partire da quelle con Israele, per gli approvvigionamenti di dispositivi e attrezzature”, spiega la nostra fonte sotto garanzia dell’anonimato. Invece, come è accaduto a dicembre per la scelta del direttore generale della Sanità, si è preferito giocare tra le pareti domestiche. Una task force casalinga che evidentemente può fare a meno di quelle competenze e quell’esperienza ritenuta, invece, utile dalla sanità del Lazio, così come di altre potenzialità che la sanità piemontese possiede e che, sempre più spesso, si lascia sfuggire o ascolta in maniera distratta.

E mentre ancora ieri in alcuni ospedali della regione di tamponi non se ne facevano perché mancavano reagenti e i privati stanno riconvertendo le loro strutture per ospitare malati di coronavirus e i dimessi che non possono tornare nelle loro abitazioni, a Roma è arrivato un piemontese che tra le priorità per affrontare l’emergenza sta mettendo proprio la rete territoriale. “Prima si interviene sul paziente a casa, prima si evita di avere troppi casi gravi e il collasso delle strutture”, è il concetto espresso da Bono ai suoi collaboratori. Proprio quello che servirebbe al Piemonte.

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