CORONAVIRUS & POLITICA

Alla macchina dell'emergenza ora serve una sterzata decisa

Le falle organizzative dell'Unità di Crisi e un Comitato scientifico solo di rappresentanza. Ora, in vista della fase 2, va ripensata la catena di comando. Intanto, il Piemonte ha la percentuale di malati più alta del Nord e un tasso di mortalità doppio

Mascherine introvabili, medici e infermieri mandati in trincea privi dei più elementari dispositivi di protezione, tamponi e test fatti con il bilancino, decisioni annunciate e disattese in poche ore. Scene di ordinaria emergenza in Piemonte. Tutto mentre continua a registrare la percentuale di malati più alta del Nord, con Torino maglia nera in Italia. E il tasso di mortalità doppio della media.

A sovrintendere la complessa macchina degli interventi la Regione guidata da Alberto Cirio ha messo due organismi, mutuati dal livello nazionale. L’Unità di Crisi e il Comitato Tecnico-scientifico, acquartierati in corso Marche, nella sede della Protezione civile. Entrambi finiti al centro di polemiche e oggetto di aspre critiche per una gestione che mostra troppe falle e, soprattutto, carente di una visione d’insieme dell’emergenza, di un “modello” da applicare.

Spesso invocato dal governatore, talvolta con l’impressione da fungere da ombrello oltre che da consulente, il Comitato Tecnico-scientifico ha una curiosa peculiarità. La sua composizione completa non si trova pur compulsando e rovistando ogni dove. Dopo aver chiesto invano lumi, alla fine è stato proprio il Cirio a sciogliere il garbuglio fornendo allo Spiffero l’elenco dei suoi componenti. Una lettura già di per sé indicativa delle scelte operate dalla Regione. A cominciare dal presidente, il dottor Roberto Testi, insigne medico legale, un professionista di caratura nel suo campo, ma decisamente più avvezzo a sezionare cadaveri che a guarire malati. Affiancato da Franco Ripa, direttore della programmazione sanitaria della Regione, Testi guida un organismo che ha più l’aspetto di un comitato d’onore che non di una falange di scienziati in grado di dettare linee operative e definire protocolli d’intervento. C’è un magistrato, Marcello Tatangelo (l’altra toga, in pensione, Antonio Rinaudo sovrintende invece l’area giuridica dell’Unità di Crisi), fanno bella figura i due rettori delle Università piemontesi, Stefano Geuna e Giancarlo Avanzi, danno il loro contributo il commissario di fresca nomina della Città della Salute Giovanni La Valle, il direttore sanitario del Maggiore di Novara Roberto Sacco, la collega dell’Asl Elide Azzan, il primario di chirurgia del San Giovanni Bosco Sergio Livigni, il primario anestesista delle Molinette Maurizio Berardino, il direttore dell’elisoccorso Roberto Vacca e poi, ancora, il responsabile Dea dell’Asl To4 Paolo Franzese, i dirigenti della Protezione Civile Daniele Coffarengo e Gaetano Noè, il direttore della farmacia delle Molinette Francesco Cattel. Due soli “esperti” di virus: Francesco Giuseppe De Rosa, primario di infettivologia delle Molinette, e l’epidemiologo Enrico Pira. E così mentre altrove le Regioni ingaggiano il fior fiore dei virologi – da Andrea Crisanti in Veneto a Pierluigi Lopalco in Puglia – in Piemonte persino un’autorità indiscussa della materia qual è Giovanni Di Perri non è stato coinvolto.

Insomma, una pletora di cattedratici, molti dirigenti che potrebbero stare indifferentemente nel Comitato come nell’Unità di Crisi. Eppure proprio questo organismo alla luce di quella tanto attesa Fase 2, la parziale uscita dal lockdown, probabilmente, dovrà ampliarsi, in tempi brevi, di ulteriori specialisti: statistici, esperti di informatica per l’adozione di app e sistemi per il monitoraggio (in altre regioni sono già piuttosto avanti), e ovviamente economisti e conoscitori dell’organizzazione del lavoro. Se già alcune di queste figure non sarebbero certo risultate fuori luogo fin dall’inizio, ora resta da vedere se Cirio vorrà allargare il comitato oppure crearne un secondo più orientato sul versante economico-sociale.

Ma la Fase 2 sarà ancora pesantemente sanitaria. “Quando si ripartirà ci sarà quasi sicuramente una riacutizzazione dei contagi, magari e lo speriamo ridotta rispetto all’attuale, quindi bisognerà esser pronti senza dover temere emergenze di posti nelle terapie intensive” spiega Testi che, di fatto, indica nella metà dei posti di rianimazione liberi la condizione per ripartire, sia pure con le limitazioni che permarranno. E se chi guida il Comitato Tecnico Scientifico, sottolinea la scelta “fondamentale per aver salvato moltissime vite, pur contando un pesantissimo bilancio di decessi” assunta dal Piemonte “decidendo di far stare tutti a casa, prima che lo si facesse a livello nazionale e abbassando la curva”, è pur vero che qualcosa in Piemonte non deve aver funzionato se il numero delle vittime è più del doppio di quello registrato in Veneto.

Meno tamponi, retromarce sui test immunologici, aggiustamenti sulle terapie a domicilio con il rischio di ingenerare confusioni e ulteriori ritardi, per non dire dei dispositivi di protezione personale la cui mancanza se in buona parte dipende dalla Protezione Civile nazionale, in corso Marche non pare si riesca a fare ciò che riesce ad altri. L’Unità di Crisi, passata dall’iniziale gestione in capo al direttore della maxiemergenza Mario Raviolo – assurto alle cronache per l’arrivo in elicottero a Tortona (con successivi aviotrasporti in altri luoghi) e ingresso nel convento delle suore con equipaggiamento che gli sarebbe valso il battesimo a Rambo – a quella dell’ex direttore delle Opere Pubbliche Vincenzo Coccolo, geologo ed esperto di calamità ambientali, è ripetutamente sotto accusa da ampi settori dei camici bianchi, dalle loro rappresentanze e perfino dagli Ordini.

Un organismo che deve avere rapidità decisionale e di azione, è stato invece segnato da protagonismi, scazzi, ritmi e approcci che neppure un’emergenza di questa portata pare essere riuscita a scalfire nelle loro radici burocratiche. Nella warroom, dove non è mancato il fuoco amico, la gestione Coccolo ha portato a coordinatore sanitario il direttore generale dell’Asl To 3, Flavio Boraso. Dalla stessa azienda arriva la responsabile di un settore cruciale, visti i problemi con mascherine e altri dispositivi, dell’acquisto di beni e servizi, Grazia Ceravolo. Ubiquo con il citato Comitato Scientifico, il dirigente della medicina territoriale Ripa. Come lui anche Caffarengo per l’area Protezione Civile. Raviolo è a capo dell’area maxiemergenza, l’ex pm Rinaudo di quella giuridica. Altri dirigenti e funzionari si muovono e si alternano in corso Marche dove qualcosa, pur attribuendo una quota di responsabilità a Roma, continua a non funzionare. Forse prima di stendere liste di proscrizione e moltiplicare commissari e subcommissari c’è qualcosa di più impellente da fare.

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