RETROSCENA

La Lega teme lo sboom di Salvini e marca sempre più stretto Cirio

Dai mojito del Papeete il Capitano non ne ha più azzeccata una e ora scende nei sondaggi. In Piemonte la scarsa levatura politica di assessori e consiglieri preoccupano Molinari che guarda con fastidio i tentativi di emancipazione del governatore

Il modello Veneto non vale solo per affrontare il coronavirus. Nella regione del Nord Est affonda le radici e germoglia, in una allarmante primavera per Matteo Salvini, anche un modello di governo e di azione politica che potrebbe segnare un rapido autunno per il Capitano.

Lui, la gallina dalle uova d’oro, come lo definiva l’eminenza grigia Giancarlo Giorgetti, non riesce più a covare una linea politica in grado di far uscire la Lega da quella evidente marginalità sullo scacchiere nazionale. Un immobilismo malamente celato da una comunicazione social compusiva e rumorosa, ma alla fine inconcludente. E così, mentre si registra la crescita del consenso personale interno e nell’opinione pubblica di Luca Zaia, i sondaggi iniziano a voltare le spalle a un capo finora indiscusso (e indiscutibile) cui viene riconosciuto il merito di aver portato il Carroccio che fu dal misero 4% a veleggiare sopra il 30%. Insomma, il mare di consenso si sta prosciugando e il Capitano pare aver perso la rotta. Al punto che persino il mito del “vincente” pare offuscarsi ogni giorno di più.

Timori che hanno preso ad attraversare non solo il corpaccione del partito piemontese, strutturalmente il più emaciato della galassia leghista, ma anche i vertici e lo stato maggiore, dove i colonnelli mostrano crescente preoccupazione e guardano con ansia i movimenti di Riccardo Molinari, salviniano di ferro ma molto stimato dallo stesso Zaia il quale, a quanto si dice, lo vorrebbe accanto a sé qualora decidesse di scalare il partito.

Rumors, per carità. Ma quell’endorsement a futura memoria, di fatto attesta come il segretario piemontese della Lega abbia ormai maturato uno profilo che, se non lo affranca completamente dall’attuale leader, certo non farebbe dipendere il suo destino in tutto e per tutto da quello di Salvini.

Per contro, guardando al Piemonte, dove il partito ha fatto man bassa di voti proprio sull’onda nazionale, è arduo scorgere quel pragmatismo che connota e alimenta il consenso di Zaia. La stessa leadership di Molinari è un’immagine che si specchia in uno stagno ben (si fa per dire) rappresentato dal gruppo regionale e da buona parte dell’esecutivo colmo di annunci e proclami, ma svuotato di quella sostanza e quel “fare” di cui il Nord Est si è mostrato capace, in una situazione complessa come quella attuale e, probabilmente, futura. Basta ascoltare gli interventi di assessori e consiglieri a Palazzo Lascaris per avere una summa di proclami e poco altro in più. Code di propaganda elettorale, comizi in sedicesimo del Capo, rivendicazioni identitarie, tra le quali riesce difficile trovare quel “fare” che vale e serve assai più del “dire”.

Un enorme capitale di consenso, quello di cui dispone Molinari, che resta tuttavia ingessato in una propaganda peraltro asincrona rispetto a un quadro stravolto dalla pandemia e dalle sue conseguenze socioeconomiche, senza tralasciare le falle di un sistema sanitario che è pur vero il centrodestra ha ereditato, ma non ha mostrato fino ad oggi con l’assessore leghista Luigi Icardi, di saper aggiustare neppure in parte. Anzi, la gestione dell’Unità di Crisi e le disfunzioni dei servizi attestano l’esatto opposto di quanto atteso. E proprio la difesa d’ufficio dell’assessore alla Sanità, da parte di Molinari, attraverso una nota diffusa l’altro ieri, racconta quel che succede nel partito. Molinari ha sguainato lo spadone su richiesta dell’assessore, dopo che al suo fianco si era schierata la corregionale Gianna Gancia, sempre più isolata nel partito. Così,  allarmato di poter essere etichettato come un uomo della parlamentare europea, avversaria di Molinari all’ultimo congresso, Icardi ha ottenuto un comunicato di sostegno pure dal numero uno del partito piemontese. Tutto qui. Ed è davvero poco.

Avvicinandosi al primo anno di legislatura, il principale azionista di maggioranza non brilla certo per intelligenza politica e non pare riuscire ad attingere dal modello veneto non solo utili insegnamenti per affrontare l’emergenza sanitaria, ma anche quella che potrebbe diventare un’emergenza politica. Il Piemonte a trazione leghista non solo è in difficoltà, ma al momento non si vede proprio. Una linea che da tempo lascia scontenta una parte della Lega piemontese, non solo quella novarese, ma ampliata ulteriormente in questa fase emergenziale, a più di un sindaco alle prese con una situazione dove un partito cha ha costruito la sua fortuna sul territorio e i campanili è apparso sordo e insensibile alle richieste di aiuto.

Pagando anche scelte nella composizione delle liste e della stessa squadra di governo regionale, la Lega è in mezzo al guado: comanda ma non governa. Fa la voce grossa, sbraita, issa vessilli, minaccia o all’occorrenza blandisce, ma non è riuscita (finora) a guadagnarsi rispetto e considerazione di stakeholder e rappresentanze sociali ed economiche. Lungi dal dettare l’agenda politica vive alla giornata, accontentandosi di arginare il protagonismo di Alberto Cirio. Già, perché persino quello che fino ad oggi è stato una sorta di “ostaggio consenziente” ogni tanto batte un colpo e si muove con prudentissima autonomia, come ha fatto con la nomina della task force “personale” affidata all’ex ministro berlusconiano Ferruccio Fazio e come si appresta a replicare per la partita economica. Il governatore è politicamente apolide, il suo partito, Forza Italia, se rantola a livello nazionale è praticamente inesistente a livello regionale (al più partecipa alla spartigaia di posti di sottogoverno con l’attachè del coordinatore Paolo ZangrilloRed patacca, al secolo Roberto Rosso). Eppure la Lega non solo non riesce a incidere, ma cercando di differenziarsi dal presidente o scavalcandolo cerca di separare i propri destini (elettorali) da quelli dell’ex europarlamentare che, dicono, accarezzi l’idea di tornare tra quattro anni a Bruxelles. Magari con i voti della stessa Lega.

Molinari è però un politico scaltro e avveduto e sa perfettamente che quando arriverà il momento dei primi bilanci (e l’ora si avvicina inesorabilmente), sarà molto difficile lavarsene le mani e scaricare tutto sulle spalle assai gracili di Cirio. La Lega, e in primis il suo leader regionale, non potranno sottrarsi dalle rispettive responsabilità. Per questo, probabilmente, ha convenuto con il governatore sulla necessità di modificare lo statuto in modo da consentire di aumentare il numero di assessori esterni. All’orizzonte, in quella fase 2 della politica regionale, non si profila un rimpastino. Il segretario ha già lanciato messaggi chiari, anche in recenti riunioni online e chat: non è più tempo per bandierine territoriali, per spartizioni sulla base di equilibri interni, sulla promozione delle terze e quarte file solo dettate dalla fedeltà. Si è visto cosa ha prodotto: tanti Preioni o poco di meglio. Competenza, questa la parola d’ordine e il criterio che Molinari ha in mente per la futura e rinnovata giunta. Una fase nuova per il governo regionale. E forse anche per la Lega, che sta navigando nel mare tra il dire e il fare. Con rotta Nord Est.

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