EMERGENZA SANITARIA

Non saremo tanto Immuni

L'App è azzoppata. Il sistema sanitario viene tagliato fuori e così sarà impossibile applicare il contact tracing e la biosorveglianza. "Il governo ha ceduto alle ossessioni talebane di qualcuno su privacy e sicurezza". Colloquio con il professor Carnevale Maffè

La app Immuni? “Servirà a poco”. Nei giorni in cui Paolo De Rosa,  responsabile tecnologico del ministero dell’Innovazione, annuncia che se tutto va bene l’applicazione sarà disponibile entro fine mese, non mancano i componenti di quella pletorica task force allestita dal ministro Paola Pisano, che disconoscono le scelte fatte dal Governo. Tra questi c’è Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia presso la scuola di Direzione aziendale alla Bocconi di Milano: “Quello su cui avevamo lavorato noi era un progetto ampio basato sulle tre T: tracciare, testare, trattare. Un insieme integrato dei processi che includesse un utilizzo delle tecnologie per prevenire il diffondersi di catene trasmissive ed evitare l’esplosione di nuovi focolai”. Insomma, un lavoro fondamentale per evitare di piombare di nuovo nel lockdown, ma che rischia di arrivare in ritardo e soprattutto di essere “inefficace”.

Facciamo un passo indietro. Il 31 marzo il ministro Pisano ha nominato una task force composta da 74 (sic!) tra docenti universitari, grand commis, componenti delle varie authority. Una settimana dopo arriva il report del contingente di esperti sul tracciamento dei dati in cui si legge: “È opportuno che il processo d’implementazione preveda il test in parallelo delle due soluzioni tecnologiche individuate”. Una è “Immuni”, l’altra è “CovidApp”. Il 10 aprile il ministro Pisano – scoperta da Chiara Appendino con cui è stata assessore all’Innovazione a Torino dov’è ricordata per il caos nelle anagrafi per l’emissione della carta d’identità elettronica – scrive al premier Giuseppe Conte che “il gruppo di lavoro ha indicato nella soluzione denominata Immuni (…) quella più rispondente alle attuali necessità”. Come ha raccontato il Foglio “quando gli esperti della task force apprendono la decisione della Pisano la loro reazione è di ‘totale sconcerto’. In primo luogo perché la ministra ha mentito, scaricando su di loro una decisione presa da lei. E inoltre perché la decisione rappresentava una sconfessione del metodo usato dai sottogruppi di lavoro”.

Allo Spiffero Carnevale Maffè conferma sostanzialmente questa versione e spiega che “c’è innanzitutto una differenza di approccio”. Infatti “la task force aveva individuato un metodo di verifica empirica, che prevedeva una fase di testing in cui si mettessero a confronto due possibili soluzioni e una scelta sulla base delle risultanze”. Le due ipotesi sul tavolo erano tra un modello decentrato e uno centralizzato. Cosa vuole dire? Il primo, quello ormai individuato dal Governo, prevede una interrelazione tra i dispositivi: in sostanza nel momento in cui un individuo viene dichiarato positivo, se lui lo vorrà, potrà sbloccare l’applicazione che invierà un messaggio anonimo a tutti i dispositivi che nei giorni precedenti si sono trovati a una distanza inferiore ai due metri per più di 15 minuti. A quel punto, chi riceverà quel messaggio potrà rivolgersi al servizio sanitario che nel lavoro di tracciamento, però, viene completamente tagliato fuori. A differenza del sistema centralizzato in cui l’elaborazione dei dati e il lavoro di contact tracing sarebbe spettato proprio ai medici e ai call center incaricati di risalire ai contatti recenti di ogni nuovo caso. “Tagliando fuori il servizio sanitario rischiamo una valanga di falsi positivi, è una sorta di pesca a strascico” dice Carnevale Maffè.

La questione è molto dibattuta – “per questo serviva un confronto” – tanto che anche i principali paesi europei stanno prendendo strade diverse. Il modello centralizzato è quello scelto da Francia e Inghilterra, quello decentrato, invece, da Germania e Italia. Ma qui cosa sta succedendo?  “È successo che per via delle ossessioni talebane di qualcuno sono stati ipotizzati scenari catastrofici dal punto di vista della sicurezza e della privacy, peraltro del tutto ingiustificati. Senza nessuna evidenza. Mentre l’evidenza ce l’abbiamo sul fatto che il tracciamento può salvare delle vite”. Questa decisione ha portato a scegliere il modello sviluppato da Apple e Google, accantonando il lavoro del consorzio Pepp-Pt, in cui l’Italia è rappresentata dalla torinese Isi Foundation. Il Governo, inoltre, sempre in ossequio alla privacy, ha anche impedito l’utilizzo dei dati di localizzazione e “questo significa rendere impossibile trovare i contatti di secondo e terzo livello, che sono importantissimi”. Quindi ogni utente saprà di avere avuto un contatto con un infetto, ma non saprà dove e quindi non saprà se c'erano altre persone con lui da avvertire. Un vero paradosso se si pensa che Apple e Google già permettono l’utilizzo di questi dati per altre applicazioni. Ma non lo faranno per combattere il Covid.  

In sostanza, il tracciamento con Immuni rischia di non esserci. Secondo quanto dichiarato da Apple e Google, si parla non più di contact tracing ma di exposure notification, cioè notifica delle esposizioni. Il dispositivo riceve la notifica di una esposizione al Covid, appunto, ma senza sapere quando e dove e quindi senza neanche sapere quale individuo è stato esposto giacché banalmente lo smartphone della mamma potrebbe essere finito in prestito al figlio in uno dei giorni precedenti ed è stato lui a essere esposto al virus. “Per questo dico che potrebbe servire a poco – conclude il professor Carnevale Maffè – soprattutto se non è integrata con sistemi di biosorveglianza, sul modello Veneto, e di tracciamento dei contatti”.

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