Lega, nordisti alla carica
Stefano Rizzi 07:00 Venerdì 14 Agosto 2020Le crescenti difficoltà della leadership salviniana ridà fiato, anche in Piemonte, al fronte dei malpancisti. Chat infuocate e le telefonate di Borghezio. Le sirene del vecchio autonomista Gremmo. L'europarlamentare Gancia: "Ormai ci sono due partiti"
Il militante ignoto, di bossiana memoria e autonomisti ideali, cerca di uscire dal sacello dove senza troppe cerimonie è stato posto dal Capitano, appena issata la bandiera sovranista. E lo fa, lui come i molti reduci della Lega Nord che fu e che per Matteo Salvini non è più, con una di quelle trovate, un misto di furbizia ruspante e ardire da ganassa, che piacerebbero al Senatur.
La richiesta di poter usare il vecchio simbolo e la denominazione Lega Nord per l’Indipendenza della Padania alle prossime elezioni comunali di Mantova, avanzata dagli ex deputati Gianluca Pini e Giovanni Fava è una miccia a lenta combustione che corre per il Nord, sempre più orfano di una sua rappresentanza politica per stessa ammissione di quel ceto imprenditoriale, dei mestieri e delle partite iva che del partito federalista e financo secessionista era stato per anni il più solido pilastro.
Nessuno scommette un euro sulla possibilità che Igor Iezzi il commissario di stretta osservanza salviniana cui è stata affidata la vecchia Lega, bad company con il fardello del 49 milioni di restituire, conceda il simbolo per le prossime amministrative, ma questo non significa affatto che la mossa risulti un fallimento, tantomeno che altri nel Nord, incominciando magari proprio dal Piemonte, seguano l’esempio dei due ex parlamentari, fastidiosa minoranza interna per i pretoriani del leader.
Quella lettera in cui iscritti al nuovo e vecchio partito chiedono di poter presentare liste con il nome e l’emblema di quest’ultimo sta girando da giorni nelle chat di non pochi leghisti piemontesi, attratti dall’idea di rafforzare quell’ apertura di una questione, quella del Nord e del dimenticato federalismo, in seno a una forza politica la sui rotta nazionalista e sovranista ha incrociato pericolosamente i Fratelli d’Italia che rischiano di limare le unghie a Salvini non solo alle prossime regionali, ma anche alle concomitanti elezioni comunali.
La vicenda è guardata con molta attenzione anche da chi, dopo la svolta salviniana, la Lega l’ha lasciata. Ma chi mena le danze, sia pure senza ancora esporsi troppo, è quella parte di leghisti che nel partito, anche in quello nuovo, è rimasto. Nelle chat non gira soltanto la lettera, platealmente snobbata dallo stato maggiore salviniano, ma non certo sottovalutata. L’eventualità che un’analoga richiesta parta per uno o più comuni del Piemonte chiamati al voto a settembre, non è cosa da prendere sottogamba. Già in Veneto Salvini è stato costretto a intervenire per cercare di rafforzare al massimo la lista del partito, imponendo agli attuali assessori regionali di candidarsi lì, ed evitare come assai probabile di essere platealmente sorpassato dalla lista del governatore Luca Zaia. E proprio Zaia rappresenta la speranza per quella parte della Lega che non per mera nostalgia, ma per convinzione, guarda con crescente fastidio alla svolta nazionale e sovranista, mentre lavora per tornare a quel partito del Nord della cui necessità il Nord continua a mandare segnali.
Dalla Lombardia, feudo salviniano, ma anche terra d’origine trent’anni fa della rivoluzionaria forza politica nata e cresciuta con Bossi leader e il federalismo come ideale irrinunciabile, i segnali di fumo lanciati su whatsapp dal consigliere regionale Andrea Monti stanno facendo il giro in Piemonte. Il figlio dello scomparso Cesarino Monti, a lungo sindaco di Lazzate e senatore bossiano, pone con forza la Questione Settentrionale. Musica per le orecchie di chi nel partito di oggi la vede pressoché abbandonata e per chi proprio per questo cambio di rotta dalla Lega è uscito, o è stazione, ulteriormente complicata dalla vicenda dei due consiglieri regionali, Matteo Gagliasso e Claudio Leone, sospesi dal partito per aver richiesto e ottenuto il bonus da 600 euro, le parole che Gianna Gancia ha affidato ad alcuni dei suoi – “continuano a esserci due Leghe e Torino, come altre parti del Piemonte, è una pentola a pressione soprattutto dopo la vicenda dei bonus, ma non solo per quella” – raccontano quel che per molti è meglio non si sappia. L’eurodeputata, “eretica” rispetto al verbo salviniano è guardata aspettando un segnale che finora non è arrivato, da chi l’aveva sostenuta nella battaglia congressuale poi vinta, grazie anche all’intervento del Capitano, da Riccardo Molinari e non ha smesso di sperare in un ritorno non alle origini, ma ai temi fondanti: l’autonomia, non solo a parole, il federalismo e soprattutto il Nord.
Tornato a sventolare la bandiera del Nord, dopo un’ubriacatura di sovranismo e nazionalismo, Mario Borghezio. Chi nella Lega spiega nell’arrabbiatura e nella delusione dell’ex europarlamentare lasciato in un angolo da Salvini nonostante il suo acrobatico riposizionamento, il ritorno ai tempi in cui rispondeva al telefono con “Padania Libera”, storce il naso all’idea di affidarsi a lui per una fronda difficile, ma non impossibile e comunque strettamente legata a ciò che succederà alle regionali di settembre e nel Veneto di Zaia. Che Borghezio, dopo il lungo flirt con la destra nazionalista, si stia muovendo su vecchi sentieri è certo.
Sta facendo molte telefonate tra i vecchi militanti, si è sentito anche con Roberto Gremmo, il biellese fondatore con Bossi della Lega che all’ex europarlamentare riserverà sulla Nuova Padania un pezzo elogiativo del suo attacco alla svolta nazionalista di Salvini.
Nelle manovre preparatorie a quel che potrebbe accadere nelle urne a settembre, con lo spettro concreto di un’ulteriore crescita del partito di Giorgia Meloni, tra i leghisti non proprio salviniani del Piemonte ricorre spesso anche il nome di Angelo Ciocca. L’europarlamentare che calpestò le carte del commissario Pierre Moscovici e noto come il bulldog della Lega rappresenterebbe quel salvinismo anomalo – fedeltà in autonomia – su cui poter poggiare quella rivoluzione, o meglio restaurazione, dolce che non pochi auspicano. Tant’è che tra questi, con una punta di veleno, si fa notare come al momento della formazione delle liste per le europee Molinari non avrebbe caldeggiato affatto l’inserimento di Ciocca, poi deciso da Salvini anche in virtù della confermata capacità di raccogliere preferenze dell’ex consigliere regionale lombardo entrato a Bruxelles nel 2016 subentrando a Gianluca Buonanno tragicamente scomparso in quell’estate.
Protagonisti, comprimari e comparse si muovo seguendo un copione cui manca il finale e potrebbe riservare sorprese. Anzi, due copioni come due sono di fatto le Leghe. Di quella vecchia Salvini ha omaggiato migliaia di tessere gli iscritti alla nuova. Ma dietro quei souvenir si muove una parte di leghisti che tali non li considera e aspetta settembre per capire se dalle urne arriverà il segnale. Nel frattempo la richiesta del vecchio simbolo da mettere sulle liste, anche solo di pochi comuni, è un morso alle caviglie di Salvini. E il segno che il militante ignoto, con le sue idee sul Nord, non ci sta a rimanere dove lo ha messo Salvini, sacrificandolo sull’altare del sovranismo.