TRAVAGLI GIALLOROSSI

Pd e M5s torinesi d'accordo: "Alleanza? Non decide Roma"

Il tavolo nazionale sulle Comunali della prossima primavera proposto da Di Maio non piace ai partiti locali. Prendono le distanze persino i pasdaran della Appendino. E ad arginare il Nazareno scende in campo il network degli amministratori dem delle città metropolitane

Se a irritare lo stato maggiore del Pd è arrivata ieri da Luigi Di Maio, in perfetta sincronia con le mancate alleanze giallorosse alle regionali (ad eccezione della Liguria), un’apertura per le comunali di primavera nelle grandi città, c’è anche altro sul fronte del voto nelle metropoli a dover preoccupare Nicola Zingaretti e la parte più incline verso i Cinquestelle. E, in questo caso, è tutto in famiglia.

Il titolare della Farnesina, con buona dose di tatticismo, ha delineato un percorso – “un ragionamento complessivo sulle città, partendo da Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna” – che però incontra molti ostacoli sui territori e in entrambi partiti, al momento piuttosto riluttanti a recepire decisioni calate dall’alto. Le stesse condizioni poste per arrivare a eventuali accordi elettorali – “Non credo che Virginia Raggi e Chiara Appendino debbano fare un passo indietro, non mi pare ci sia una folla di candidati eccelsi pronti a sostituirle – sono solo le prime mosse tattiche di una trattativa che si annuncia lunga e complessa. Il risultato è che l’unica cosa sulla quale sono d’accordo Pd e M5s torinesi è di non accettare supinamente imposizioni romane. La stessa idea di lanciare un tavolo nazionale sulle candidature, subito sposata dalla viceministra Laura Castelli e molto ben vista da Appendino, sempre più a suo agio nei giochi di palazzo, ha fatto rizzare il pelo persino a quei grillini (Fabio Versaci e Valentina Sganga) proconsoli della sindaca in Sala Rossa.

A Torino, insomma, la resistenza è bipartisan. Qui, infatti, ha una delle sue maglie importanti e strategiche la rete che, nata in pieno lockdown e attiva anche in periodo vacanziero, potrà rappresentare una spina robusta nel fianco di Zingaretti e di coloro che neppur troppo nascostamente auspicano di riuscire a fare nei Comuni quel che non è stato possibile, adesso, nelle Regioni.

I 14 capigruppo del Pd nei consigli comunali delle città metropolitane, da settimane, stanno lavorando forse ben oltre le aspettative di chi, come il presidente dei consiglieri dem a Palazzo Vecchio Nicola Armentano, fedelissimo del sindaco Dario Nardella, qualche mese fa aveva avviato quel lavoro di gruppo. E una delle conclusioni cui è giunta questa rete, di cui ovviamente fa parte il capogruppo in Sala Rossa Stefano Lo Russo attiene in maniera molto pesante, forse più che altrove, a quel che sta capitando e soprattutto potrà capitare nei prossimi mesi tra il Pd locale e i vertici nazionali.

Con la sola eccezione della genovese Cristina Lodi, ex renziana folgorata sulla via del governo giallorosso, tutti i capigruppo dem delle grandi città, molte delle quali – da Napoli a Milano e ovviamente Torino – andranno al voto in primavera, hanno ribadito l’indisponibilità a ingerenze del Nazareno sulle scelte che riguarderanno possibili alleanze. Tradotto: non siamo disponibili a cambiare linea sui Cinquestelle laddove, come a Torino, il partito formalmente l’ha tracciata in segno di demarcazione, ma i segnali che da più parti continuano ad arrivare non la fanno apparire così invalicabile.

Il messaggio che arriva dal network dei capigruppo, in cui sono attivi spesso sindaci da Giorgio Gori allo stesso Nardella, ma anche una figura che molti indicano cruciale e oggetto di molte speranze per il futuro congresso dem come il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, è da appuntarsi e seguirne le evoluzioni nei prossimi mesi. Illuminante la sintetica analisi del voto dei mesi scorsi proprio in Emilia-Romagna, fatta dal capogruppo del Pd a Bologna Roberto Fattori: “Bonaccini non ha vinto nonostante non ci fossero alleati i Cinquestelle – ha osservato, riaggiustando una narrazione strabica – ma proprio perché non c’erano”. Musica per le orecchie di chi a Torino proprio in questo abbraccio mortale con i grillini, tanto più qui con cinque anni di governo della città, vede la sconfitta certa, a dispetto dell’aritmetica che, si sa, non va quasi mai d’accordo con la politica e le elezioni.

La stessa necessità di ribadire una sorta di autonomia territoriale rispetto al Nazareno non può che rafforzare l’idea che una parte del Pd laddove si andrà a votare tema o, motivatamente, preveda che gli schemi potranno cambiare. L’apertura del voto sulla piattaforma Rousseau, salvo la frenata sulle regionali, e l’immediato saluto di quella caduta di un dogma grillino da parte di Zingaretti ha messo in allarme parti del Pd torinese. Chi, da sempre, come lo stesso Lo Russo e il segretario Mimmo Carretta, ha alzato steccati contro ogni ipotesi di alleanza con i Cinquestelle avvertendo dei rischi e spiegandone l’illogicità politica dopo il quinquennio di Appendino, trova nella rete degli amministratori un non trascurabile sostegno. Che, poi, quel che si muove nel e attorno al network lontano da figure storiche pur sempre in primo piano del Pd aprendo a una classe di amministratori, sindaci e presidenti di Regione, possa essere qualcosa da osservare con attenzione anche in vista di un futuro congresso del Pd è un ulteriore elemento di interesse.

print_icon