EMERGENZA COVID

Tamponi ogni due settimane per medici e infermieri a rischio

Monitoraggio costante per gli operatori di terapie intensive e sub intensive. Circolare della Regione Piemonte alle Asl: "Incrementate subito il numero degli accertamenti". Ma in alcuni ospedali c'è ancora carenza di dispositivi di protezione

In piena pandemia erano gli ultimi ad essere sottoposti al tampone e questo avveniva solo in presenza di sintomi evidenti. A ridurre al massimo la ricerca di positivi al Covid tra il personale sanitario c’era, soprattutto, una ragione: evitare di dover mettere in isolamento un numero di medici e infermieri che nessuno avrebbe potuto prevedere, con la probabile conseguenza di dover chiudere interi reparti, dove comunque si lavorava con i dispositivi di protezione e quindi il rischio di contagio era estremamente ridotto. Adesso si è invertita la marcia. Chi lavora in ospedale, ma anche i medici di medicina generale e chi opera nelle Rsa e in altre strutture sanitarie dovrà sottoporsi al tampone ogni 40 giorni dove il rischio calcolato è minore, ogni 25 per gli operatori a rischio medio e ogni due settimane per coloro che sono impiegati in reparti considerati a rischio elevato.

La circolare inviata nei giorni scorsi ai vertici delle aziende sanitarie e ai sindacati di categoria, ma non ancora diffusa capillarmente, firmata dal direttore regionale Fabio Aimar, da quello del Dirmei Carlo Picco (foto) e dal responsabile del settore Prevenzione Bartolomeo Griglio dà precise indicazioni alle Asl e alle Aso e le sollecita a “prevedere il potenziamento della sorveglianza mediante tamponi sin dal 3 settembre”, ovvero il giorno dopo l’invio della circolare stesse. Una rapidità richiesta forse eccessiva, anche se passati alcuni giorni non sono poche le aziende i cui operatori non hanno ricevuto dai vertici alcuna comunicazione al riguardo, lasciando purtroppo supporre che i tempi non ovunque saranno quelli auspicati e richiesti dalla Regione.

Nella lettera si rimarca l’importanza di questa procedura di controllo costante che ha una doppia finalità: “Da un lato la tutela dell’operatore al quale viene garantita, in relazione al rischio, una diagnosi dell’eventuale infezione, dall’altra la tutela dei pazienti (od ospiti delle Rsa, assisti dei medici di famiglia e altri soggetti che abbiano contatto con gli operatori stessi), soprattutto quando si tratta di soggetti fragili”.

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Le aziende e le strutture sanitarie dovranno fare una valutazione dei rischi, ma nel frattempo la Regione indica delle linee guida da seguire per stabilire ogni quanto fare i tamponi. Le aree si rischio elevato, i cui operatori dovranno essere sottoposti al test ogni 15 giorni sono quelle delle terapie intensive e sub-intesnsive, le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) e il personale delle Rsa che opera con mansioni di assistenza diretta a ospiti fragili. Consideri a rischio medio, con tampone ogni 25 giorni, le aree Covid, quelle filtro, i reparti di malattie infettive, i Pronto Soccorso, le radiologie, gli operatori del 118 e i medici di medicina generale. Infine il rischio basso in cui sono compresi i reparti dove non ci sono pazienti Covid, l’assistenza domiciliare a pazienti non Covid e non sospetti.

Migliaia e migliaia di tamponi in più, ma anche un’organizzazione e protocolli che prevedano con certezza come agire in caso di un operatore sanitario risulti positivo. In attesa di un’eventuale chiarimento, messo nero su bianco, la linea che alcuni medici competenti (cui spetta la gestione dell’operazione) pare essere quella di tracciare, ovviamente, i contatti, ma di non porre in quarantena gli operatori che hanno avuto contatti protetti dai Dpi con il medico, l’infermiere o l’operatore sociosanitario risultato infetto dal virus. Questo per evitare di sguarnire, in attesa di ulteriori test, con la quarantena interi reparti.

Ma è proprio sui dispositivi di protezione e sulla dotazione che ciascuna azienda in questi mesi avrebbe dovuto rafforzare costituendo scorte per almeno sei mesi che potrebbero sorgere e in alcuni casi già si presentano problemi.

“Mi hanno segnalato una scarsità di guanti alle Molinette così come al Maria Vittoria”, spiega Chiara Rivetti, segretario regionale di Anaao Assomed che plaude all’iniziativa della Regione sul controllo del personale sanitario, ma nello stesso tempo richiama a “un’uniformità tra tutte le aziende per l’applicazione del protocollo” e avverte della necessità di non trovarsi in carenza di Dpi. Carenza che in alcuni casi già si presenterebbe tant’è che dai vertici di alcuni Asl è stato disposto che gli operatori possano usare per ogni turno soltanto due camici di protezione. E se il medico o l’infermiere dopo essere entrato in contatto con un paziente sospetto non ha più la possibilità di cambiare il camice, come si garantisce la sicurezza degli altri ammalati? 

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