REFERENDUM

"Sì, diamoci pure un taglio"
(senza troppo entusiasmo)

Le ragioni di chi voterà a favore della riduzione dei parlamentari spiegate da un riformista doc, l'ex viceministro Morando. Una "riformetta" poco ambiziosa e che forse non merita neanche la fatica di opporvisi. Il No a "populismo e demagogia" di Boni (Radicali)

“Astrarre il testo dal contesto”. Gioca con le parole, minimizzando all’estremo la portata e le conseguenze di una riforma che forse è solo una “riformetta”: così Enrico Morando spiega il suo Sì, senza entusiasmo ma neanche troppe remore, al referendum del 20 e 21 aprile che taglia trecentocinquanta parlamentari tra Camera e Senato. Una “riformetta” che forse non merita neanche la fatica di opporvisi sembra voler dire durante il dibattito di ieri con il presidente di Radicali Italiani Igor Boni, che invece ha sostenuto le ragioni del No.

Classe 1950, alessandrino di Arquata Scrivia,  a differenza di tanti convertiti, non serve l’esame del Dna per provare la solida concezione riformista, Morando è un cavallo di razza della sinistra italiana: natali nella corrente migliorista del Pci è stato protagonista di primo piano nella travagliata evoluzione del partito fino a diventare uno dei padri fondatori del Pd. Senatore per cinque legislature, nei governi Renzi e Gentiloni è stato viceministro dell’Economia. Non ha difficoltà ad accogliere l’indicazione del Nazareno a votare e fare campagna per il Sì, “perché in fondo sono quarant’anni che il mio partito dice che dobbiamo ridurre il numero dei parlamentari e non c’è stata riforma costituzionale che non lo avesse previsto”, salvo poi finire tutte a sbattere contro il muro degli elettori: è capitato con quella di Silvio Berlusconi nel 2006 e con quella di Matteo Renzi nel 2016, che peraltro avevano un impianto complessivo ben più ambizioso e articolato.

“Tutti quelli che dicono No – dice Morando – lo fanno parlando di problemi di contesto”: la deriva populista, Di Maio sul balcone che dopo aver abolito la povertà avrà abolito anche la casta politica, i rischi per un assetto istituzionale modificato sulla spinta di un’onda demagogica eccetera, eccetera, eccetera. “Perché nel merito non trovi nessuno contrario alla riduzione dei parlamentari”. L’ex co-inquilino di via XX Settembre non ha difficoltà ad ammettere che “le intenzioni con cui è stata proposta questa riforma sono pessime e coloro che si avvantaggerebbero di una vittoria del Sì potrebbero farne un uso ancora peggiore. Sono argomenti che considero seriamente, ma non penso che le ragioni di contesto siano talmente forti da convincermi a cambiare idea sul testo e sul senso di questa proposta”.   

Già in passato ragioni di contesto hanno avuto spesso il sopravvento per bocciare le ultime due proposte di riforma costituzionale: prima la spallata a Berlusconi, poi quella a Renzi. Da riformista qual è, in fondo, Morando sa bene che il meglio molte volte è nemico del bene e che la montagna si scala un passo alla volta. Questo può essere il grimaldello per sfatare il tabù della Costituzione più bella del mondo “per intraprendere la strada di una riforma vera che superi quest’obbrobrio del bicameralismo perfetto”. Si concede poi anche una stoccatina ai “professionisti del No”, cita il manifesto di quei costituzionalisti capitanati, neanche a dirlo, da Gustavo Zagrebelsky “che oggi attaccano questa riforma perché troppo minimalista, mentre quattro anni fa si opposero a quella del Pd perché considerata troppo invasiva”.

Quel che fatica a spiegare, il buon Morando, è perché proprio il Pd ha votato per tre volte contro questa riforma per ragioni squisitamente di contesto (era all’opposizione del governo gialloverde) e poi ha votato a favore nell’ultimo passaggio parlamentare (quando è diventato alleato del M5s). Un voltafaccia strumentale dettato dalla volontà di rafforzare un’alleanza di governo nella quale – va detto – l’impronta dei dem finora si è vista poco.

“In Italia abbiamo un parlamento che ha subito una marginalizzazione inaccettabile, una sorta di votificio dell’esecutivo” replica Boni che ricorda i 40 giorni in cui l’organo legislativo è finito come il resto d’Italia in lockdown mentre Palazzo Chigi sfornava un dpcm via l’altro. Ma soprattutto per Boni (e per buona parte dei sostenitori del No) questa riforma rischia di diventare il primo tassello di un progetto più ampio di “distruzione della democrazia rappresentativa, con Davide Casaleggio che teorizza da tempo l’abolizione del Parlamento”. Perché il testo, senza contesto, è più difficile da comprendere. Tra il pubblico c’è chi, dopo aver trascorso molto tempo al fianco di Morando nella componente migliorista del Pci, quella capitanata da Giorgio Napolitano, ora ne prende le distanze. È Magda Negri, già deputata e senatrice. Per lei va colta ogni occasione “per votare contro il M5s”. 

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