CORONAVIRUS & SPORT

"Riaprire lo sci in sicurezza"

Per le imprese che gestiscono gli impianti di risalita chiudere l'attività invernale sarebbe "una follia". Non solo un danno economico ma anche un rischio per la salute. Cirio: "Possiamo trovare un punto di equilibrio". Presentate le linee guida delle Regioni

Un “controsenso” consentire alla gente di muoversi e tenere “gli impianti chiusi, non presidiati”. A due settimane dall'apertura ufficiale della stagione sciistica, tradizionalmente fissata per l'8 dicembre, giorno dell'immacolata, si intensifica il pressing di imprese e gestori degli impianti affinché Governo e Regione non chiudano l'attività invernale. Per Gianpiero Orleoni, presidente di Arpiet (Associazione regionale piemontese delle imprese esercenti trasporto a fune in concessione) sarebbe una vera e propria “follia”. “Se le persone si possono muovere, infatti, andranno in montagna, andranno sulle piste magari con bob, slitte e ciaspole in una sorta di liberi tutti e con una montagna senza controllo degli accessi, senza soccorsi attivi, senza le verifiche che possono fare gli impiantisti sarebbe molto più pericoloso che non aprire con regole certe” spiega Orleoni all’Adnkronos. “Ci stanno vedendo come le discoteche ma noi siamo un’attività all’aria aperta dove il virus si trasmette molto difficilmente, usiamo attrezzature e abbigliamento simili a quello degli infermieri dei reparti Covid, guanti, caschi, scarponi, con l’aggiunta di mascherine” prosegue Orleoni che aggiunge: “Gli esperti ci dicono che lo sci è uno degli sport di gruppo meno pericolosi per i contagi, quindi non si capisce, è una presa di posizione di qualcuno che non conoscendo questo mondo e dopo aver visto due foto di code a Cervinia si è spaventato immaginando che montagna fosse l’untore del Covid senza rendersi conto che così si sta danneggiando decine di migliaia di posti di lavoro che non si sa in che modo potranno poi sopravvivere”.

“Solo l’impiantistica a fune, infatti, che in Italia conta i 12-13 mila addetti – sottolinea Orleoni, 66 anni, titolare della Icemont che a Bielmonte (Biella) gestisce 5 seggiovie e due skilift – supera a stagione il miliardo di incasso, un dato che va moltiplicato per dieci o dodici volte, a seconda dei territori, per calcolare le ricadute sull’indotto perciò si tratta di un giro d’affari che supera i 12 miliardi. Basti pensare che solo i maestri di sci sono 13mila di cui 3mila in Piemonte dove ci sono altrettanti addetti nell’impiantistica a cui si aggiungono i lavoratori di noleggi, di negozi, bar ristoranti per un totale complessivo di oltre 10 mila persone”. E, proprio in merito all'ipotesi di aprire solo gli impianti, chiudendo tutto ciò che ruota intorno, allo sci, come appunto bar, rifugi e ristoranti, Orleoni evidenzia: “se fanno delle regole per ristoranti e bar nelle città, le stesse possono valere anche per le strutture di montagna. Inoltre, con una bella giornata di sole è chiaro che la gente va a sciare più volentieri ma è altrettanto vero che chi lo fa preferisce stare all'aperto e non chiudersi dentro un rifugio, quindi mangia fuori, si siede all'esterno, quindi con l'asporto ci sarebbero più controlli e in caso di brutto tempo non solo le persone saranno meno ma il rifugio può funzionare da ricovero con numeri limitati e distanziati”, conclude il presidente di Arpiet.

Per lo sci invernale “possiamo trovare un punto di equilibrio, come stanno facendo in altri paesi. È uno sport e lo si può praticare in sicurezza. Si potrebbe consentire l’attività sciistica, lasciando chiusi bar e ristoranti. È una strada che dobbiamo percorrere insieme al Governo” ha detto il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, a Rai News24. “Come sempre bisogna cercare soluzioni di buon senso, verificare se esiste la possibilità di permettere alle attività sciistiche di funzionare pur nel rispetto, prioritario, delle condizioni di salute”. “Il turismo invernale è un pezzo fondamentale dell'economia del Piemonte, i gestori degli impianti e i ristoratori nelle vacanze di Natale realizzano metà del loro fatturato annuale. Tutti vogliamo vivere il Natale, ma se pensiamo di viverlo come l’estate sbagliamo di grosso: una terza ondata e un terzo lockdown non possiamo permettercelo”. “È evidente – ha concluso Cirio – che se non verrà data la possibilità di riaprire, visto che le vacanze di Natale rappresentano la metà del fatturato di queste attività, dovranno essere corrisposti ristori certi e adeguati alle imprese e alle persone danneggiate”.

Sul tema, la Conferenza delle Regioni ha approvato le linee guida che ha consegnato al Governo: un “contributo propositivo” lo ha definito il vicepresidente Giovanni Toti “per non compromettere la stagione sciistica e per non creare un danno irreversibile all’economia della montagna dei nostri territori”.

print_icon