IL NUOVO GOVERNO

Molinari in corsa per un ministero, Giorgis cerca la promozione a vice

L'esponente leghista papabile per gli Affari regionali o l'Agricoltura. Il sottosegretario piddino non disdegnerebbe affiancare il nuovo guardasigilli (Cartabia). Incognita grillina e le ambizioni della "tecnica" Castelli. Il borsino dei piemontesi per il governo Draghi

Mai borsino dei ministri si presentò difficile, se non impossibile, come quello del futuro governo dell’ex presidente della Bce. Declinandolo nel meno economico e più popolare totoministri, suggerisce di mettere a fianco di ogni nome, anche il più accreditato, il classico 1x2. L’attesa e le aspirazioni, però, sono quelle di ogni vigilia di nascita di un esecutivo, anche se l’alta probabilità di un altrettanto numero di tecnici destinati a guidare buona parte dei dicasteri, limitano non poco gli spazi di manovra. Per non dire quelli su cui provare a muovere le pedine entro i confini regionali in quello spirito di campanile che attraversa ogni parto di un nuovo governo. E, dunque, guardando alle figure piemontesi che potrebbero entrare nella squadra che nei prossimi giorni Mario Draghi proporrà al Presidente della Repubblica, tocca esercitarsi in ipotesi sulle quali pesa un numero di variabili mai viste prima.

Tra rumors e arditi giochi delle variabilità, partendo dalla forza politica il cui leader, Matteo Salvini, ha stupito scompaginando più di una previsione con la sua adesione, impossibile non mettere nel novero dei papabili titolari di un dicastero l’attuale capogruppo a Montecitorio, Riccardo Molinari. Di lui si vocifera come possibile ministro, insieme all’eminenza grigia-verde Giancarlo Giorgetti in un ritorno come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Agricoltura o Affari Regionali, per l’ancora (per poco) segretario regionale della Lega il cui posto di presidente dei deputati leghisti pareva già in predicato di sostituzione. Molinari nel governo sarebbe potuto entrare già al momento della nascita del Conte Uno gialloverde quando Salvini chiese a lui e al ligure Edoardo Rixi di scegliere: uno nella squadra di Palazzo Chigi l’altro alla guida dei deputati. Felice e lungimirante fu la decisione del deputato piemontese, accorto nel valutare quel comma del contratto siglato con i Cinquestelle in base al quale un’eventuale condanna avrebbe significato l’abbandono del posto. Il suo coinvolgimento giudiziario in Rimborsopoli, forse, guidò Molinari nell’opzione a favore dello scranno alla Camera, anche se poi da quell’accusa venne prosciolto con formula piena. Diversamente andò per Rixi, che il posto da viceministro dovette lasciarlo.

Uno dei due dicasteri ipotizzati per Molinari, quello degli Affari Regionali, fu presidiato nel Governo Gentiloni da un altro piemontese, Enrico Costa, viceguardasigilli nell’esecutivo Renzi, alfaniano poi rientrato nelle fila di Silvio Berlusconi e in ultimo approdato in Azione di Carlo Calenda. E se l’ex ministro dello Sviluppo Economico, fuoriuscito dal Pd e fondatore della nuova forza politica decisamente schierata in sostegno a Draghi, resterà europarlamentare cercando però una posizione di rappresentanza con un posto da sottosegretario potrebbe essere proprio il politico di Mondovì ad occuparlo, in forza di un’esperienza maturata in più di un esecutivo, nonché di un suo bacino elettorale storicamente consolidato.

Sottosegretario ancora in carica, sia pure di un governo dimissionario, è il piddino Andrea Giorgis. Ha tutte le carte in regola per una eventuale riconferma, anche se il ministero della Giustizia del grillino Alfonso Bonafede potrebbe essere uno di quelli da rifare del tutto non lasciando alcuna traccia dell’assetto del BisConte. Sarà lui ad affiancare la tecnica Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale, data per prossima inquilina di via Arenula? Nel caso di una esclusione dal novero dei sottosegretari, per Giorgis salirebbe non poco un altro borsino, quello dela candidatura a sindaco di Torino, apertamente rifiutata fino ad oggi proprio perché il costituzionalista non ha mai negato di preferire un percorso più affine alla sua professione di giurista. Il pressing già forte nei suoi confronti, potrebbe insomma ancora aumentare rendendo difficile continuare a dire no.

Chi non ha mai fatto mistero di una legittima ambizione, sia pure come viceministro o sottosegretario è il cattodem Stefano Lepri nelle cui mire c’è il Welfare, mentre sul versante dei Cinquestelle assai poche chance, ad essere generosi stando a quel che circola negli ambienti romani, hanno le due ministre uscenti Fabiana Dadone e Paola Pisano, seppur quest’ultima abbia iniziato a mandare segnali in direzione del premier incaricato, spronando i grillini a sostenerlo. Certo sul suo curriculum pesano, non poco, gli inciampi sula gestione delle politiche di Innovazione (app Immuni, ma non solo) e non meno gli anni trascorsi nella giunta di Chiara Appendino, per i quali viene tristemente ricordata soprattutto come artefice del caos delle anagrafi cittadine piuttosto che per le feste patronali con i droni. E che ne sarà di Laura Castelli, viceministro uscente al Mef? Nei giorni che preludono alla formazione del Governo improntato alla competenza, lei che ha sempre detto di ritenersi un tecnico per aver lavorato in un Caf è stata protagonista di una serie di gustosissime gaffe (“I tassi dei mutui non dipendono dallo spread”, “Le tessere del reddito di cittadinanza? Le stiamo stampando. Dove? Ehm.. ehm...”, fino al memorabile “Questo lo dice lei” rivolto a un pietrificato Pier Carlo Padoan). Eppure anche in un governo dei migliori spera nella intercessione di Luigi Di Maio, grazie al quale per compensare potrebbe mantenere lo strapuntino nel sottogoverno. Whatever it take.

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