La fabbrica della manipolazione

È importante poter sempre contare su una buona squadra, specialmente in politica. Il collettivo è un punto di riferimento, un luogo di confronto e di idee, uno stimolo ad andare avanti anche quando le condizioni sono avverse.

Oggi appoggiarsi a un gruppo di collaboratori è fondamentale soprattutto per creare consenso: diffondere un’immagine positiva, costruire una verità strumentale, propagandare opportune fake news. I social hanno infatti attribuito un’importanza assoluta alla macchina che fabbrica opinioni e like, meccanismo a cui si è adeguata anche le televisione trash.

Qualche sera fa sono stato vittima consapevole dello zapping compulsivo. Durante la scriteriata navigazione televisiva sono incappato in un talk show dove la conduttrice intervistava una coppia palermitana, desiderosa di condividere con il pubblico un’imbarazzante vicenda personale. Il marito, secondo il racconto, tempo addietro aveva sorpreso la moglie in un tentativo di adulterio. La donna aveva dato appuntamento al suo amante presso il parcheggio di un hotel, ma improvvisamente era apparso il coniuge che aveva filmatotutto rovinando così la festa ai fedifraghi.

Non occorre essere stati allievi del semiologo (oltre che scrittore) Umberto Eco per scoprire la maldestra finzione che caratterizza ogni fotogramma del filmato denominato “Della vergogna”. Evidente pure il grave disagio manifestato dal genitore del “tradito”, coinvolto suo malgrado nell’intervista familiare (con tanto di palloncini rossi a forma di cuore) realizzata dalla solerte Barbara D’Urso. L’uomo, dall’atteggiamento certo più dignitoso di quello del figlio e della nuora, ha infatti esordito affermando: “Da giorni non oso farmi vedere in giro perché loro vogliono farsi pubblicità”. Un servizio catalogabile nel “trash super trash”, davanti al quale i telespettatori hanno certamente avuto reazioni diverse: alcuni avranno riso, altri probabilmente hanno cambiato canale e una buona percentuale invece ha commentato con trasporto il fatto poiché parte di un dramma familiare a lieto fine.

La schiera di chi mastica e digerisce tutto quello che passa in televisione acquisisce di continuo nuovi adepti, così come quella di chi legge su testate raramente affidabili a causa del cinismo di chi vi scrive, nonché dell’usuale inconsistenza delle fonti giornalistiche di riferimento. Manipolare l’opinione pubblica è un gioco da ragazzi, grazie al grande investimento fatto in questi ultimi anni nel deculturare la massa. Un fenomeno che già sul finire degli anni ’90 ha impattato violentemente il forte di Fenestrelle, dove è stata ambientata (a fini prettamente politico-identitari) la grande fandonia del “lager” destinato alla tortura di migliaia di soldati borbonici imprigionati, secondo la fabbrica della menzogna, all’indomani della fine del regno delle Due Sicilie.

La ripetizione incessante di opinioni travestite da notizie scava solchi, e crea terreni fertili per la crescita di valori e ideologie assemblate artificialmente in vitro. La guerra in Iraq fu vinta anche usando immagini prelevate da archivi fotografici e montate magistralmente dalla Cia, e solo recentemente i popoli della Nato hanno scoperto che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non erano in realtà mai esistite.

Nello stesso modo oggi lo staff renziano sta abilmente costruendo una nuova quanto opportuna verità sul siluramento di Conte. Improvvisamente il piano costruito lo stesso giorno in cui si tenne a battesimo il governo giallorosso (a Renzi occorreva tempo per fare una scissione e diventare il riferimento della Confindustria e del mondo della finanza) diventa un’operazione contro l’inefficienza. Il leader di Italia Viva, da killer di un governo di centrosinistra e fautore dell’ingresso di Berlusconi e Salvini nel nuovo esecutivo, si sta lentamente convertendo nel difensore della nazione: un coraggioso statista che ha tenuto il Parlamento in ballo per diversi giorni, alzando sempre l’asticella, solo con lo scopo di eliminare ministri inetti e sostituirli con grandi esperti della buona pratica amministrativa.

La non verità sfonda e muta velocemente in verità. Quando un Paese è retto dalle finzioni sceniche anche i diritti, giorno dopo giorno, diventano eterei, immaginari, dipinti come il retaggio ingombrante del lontano passato novecentesco. La trasparenza evapora sottobraccio alla buona politica, e le ragioni di un cambio al vertice diventano difficili da decifrare innanzi a non detti che celano (goffamente) potenti interessi esterni.

Il caro amico Angelo Toppino, un grande investigatore sul Passato, mi ha spedito in questi giorni un articolo pubblicato dalla Stampa il 2 aprile del 1867 che recita: “Il fascicolo n. 3 del giornale L’Avvenire dell’operaio è stato ieri sequestrato dal fisco per un articolo intitolato I Diritti dell’Operaio”. Dalla pubblicazione dell’articolo sono dovuti trascorrere altri 104 anni per emanare lo Statuto dei Lavoratori: una faticosa strada lastricata di indicibile sofferenza e inaugurata con la Rivoluzione francese.

Un secolo per ottenere il riconoscimento dei diritti assoluti, e un attimo per perderli inseguendo idiozie inventate da leader pieni di sé (quando va bene) o seminatori di odio razziale (negli altri casi). L’insegnamento è sempre quello “Il sonno della Ragione (e della memoria) genera mostri spaventosi”.

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