C'era una volta Saint-Vincent

Verrebbe quasi da iniziare dicendo “c’era un volta”. Come, appunto, le favole di un tempo che fu. Eppure, al di là della tentazione del passato o di ogni regressione nostalgica, è appena sufficiente volgere lo sguardo a ciò che capitava sino a qualche lustro fa nella politica piemontese e nazionale per rendersi conto del nulla che, purtroppo, caratterizza la stagione contemporanea. E, per entrare nello specifico – e per fare un solo esempio concreto – penso quando a fine agosto Carlo Donat-Cattin con la sua corrente, la sinistra sociale di Forze Nuove, preparava il tradizionale convegno settembrino di Saint-Vincent. Un convegno che, grazie alla genialità del suo leader a prescindere dal peso reale che aveva nel partito della Dc, riusciva a dettare l’agenda politica italiana in vista della ripresa autunnale. Quattro giorni di intenso dibattito politico, culturale, sociale e istituzionale con i principali esponenti della politica, del sindacato, dell’imprenditoria e della cultura del nostro Paese. Comunisti compresi, come ovvio. Cioè il campo dell’opposizione politica dell’epoca. E questo per quanto riguarda il solo convegno di Saint-Vincent che aveva un respiro nazionale ma che, vista la collocazione geografica della sua sede, aveva anche una forte ricaduta sul Piemonte. E sulla politica subalpina. Convegno di Saint-Vincent a cui facevano seguito molte altre iniziative politiche di livello promosse ed organizzate da altre correnti democristiane e altri partiti. Tanto di maggioranza quanto di opposizione.

Ora, per chi ha vissuto quella stagione, anche se ancora da giovanissimo, è di tutta evidenza che non si può non registrare, oggi, una caduta verticale di credibilità, di prestigio e di autorevolezza della politica. Soprattutto nella sua capacità di saper dettare l’agenda senza limitarsi a rincorrere ciò che capita o, peggio ancora, a cavalcare in chiave populistica e demagogica ciò che avviene quotidianamente nella società italiana.

Certo, pur essendo consapevole che ogni stagione storica è frutto e conseguenza del suo tempo, è indubbio che servono almeno tre elementi per cercare di scimmiottare, e non di replicare come ovvio, quella stagione politica. Ovvero, ci devono essere i partiti politici e non solo i partiti personali o i cartelli elettorali; è indispensabile avere le culture politiche e non solo il verbo o il dogma dei capi partito indiscussi ed indiscutibili e, in ultimo ma non per ordine di importanza, avere una classe dirigente politica sufficientemente autorevole, rappresentativa e riconosciuta. Quello che un tempo si chiamava semplicemente “leadership diffusa”. Senza questi tre tasselli, peraltro decisivi ed essenziali, difficilmente la politica riprende quota con il rischio, sempre più concreto, di continuare a cavalcare ciò che accade. Cioè ad assolvere ad un ruolo puramente “surfista” rispetto agli avvenimenti e alle tensioni sociali.

Una cosa sola, comunque sia, è certa. Ovvero, e pur senza rimpiangere – ma, al contempo, senza neanche dimenticare – i convegni politici, culturali e programmatici di Donat-Cattin e della sinistra sociale di Forze Nuove di Saint-Vincent e tutto ciò che ruotava attorno a quegli appuntamenti, è indubbio che la politica contemporanea non può accontentarsi della povertà di elaborazione che attualmente la caratterizza. Pena la progressiva trasformazione in un settore qualunque della società e, soprattutto, in una irreversibile caduta di credibilità della sua funzione, del suo ruolo e della sua “mission”. Un epilogo che non possiamo permetterci. Qualunque sia la nostra provenienza culturale e appartenenza partitica.

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