È davvero un periodaccio

Sento spesso usare la parola “periodaccio” quando si commenta l’anno in corso: un termine difficile da contestare alla luce del caos quotidiano che accompagna le nostre vite (escluse quelle di chi sta sguazzando nei guadagni approfittando del disastro collettivo in atto). 

Un periodaccio per chi non lavora più, un periodaccio per i bambini che vanno scuola a singhiozzo e per le loro mamme, un periodaccio per i medici e gli infermieri, un periodaccio per tutte e tutti. La fase epidemica, ancora in corso, ha rivoluzionato ferocemente società e politica. Il lavoro impiegatizio privato è ormai in remoto, quindi sotto gli sguardi inflessibili dei vari responsabili di settore, e sono pesanti le ricadute sui diritti dei dipendenti. Altrettanto difficile è la situazione degli operai: falcidiati dal virus, cadono senza destare l’attenzione di nessun organo di stampa e nemmeno delle Istituzioni (la CGIL di Bergamo ha denunciato pubblicamente che il 30% dei lavoratori ha contratto il virus). Al contempo la progettazione del futuro del Paese è caduta in mano a tecnocrati e società finanziarie, sensibili solo all’andamento dei tassi di credito e dei profitti di borsa.

In pochi giorni, il governo attualmente in carica ha dato prova delle intenzioni che lo animano, sia in campo economico che in quello delle riforme costituzionali. Draghi appena insediato ha affidato alla multinazionale McKinsey & Company il compito di effettuare uno studio dei piani Next Generation elaborati dagli altri Paesi europei. Scelta che ha innervosito la Sinistra dell’eterogenea compagine governativa, ma difesa a spada tratta dal Ministro dell’Economia (uomo fedele a Draghi).

L’intera vicenda è motivo di profonda riflessione, specialmente se comparata con la vecchia proposta del presidente Conte di creare un gruppo di lavoro interministeriale a cui demandare la parte tecnica del Recovery: progetto che ha fornito l’alibi per avviare il conto alla rovescia della fine del suo governo. Elementi che fanno presagire un difficile futuro per i miliardi di euro in arrivo nel nostro Paese.

Il sipario è calato sul Conte bis mettendo fine anche alle annunciate riforme costituzionali, che ora sono passate nelle mani del senatore berlusconiano Quagliarello (entrato in Parlamento nel 2006 e mai più uscito). Ribaltare l’esecutivo timidamente progressista, seppur non sempre consapevole di esserlo, permette di ribaltare pure il sistema costituzionale archiviando il modello democratico. Il forzista, parlamentare di lunga navigazione, punta sul cancellierato modello tedesco: dopo tanti vani tentativi ispirati dall’intramontabile Licio Gelli, finalmente il taglio di deputati e senatori può favorire la creazione di un “capo supremo” a cui affidare i pieni poteri.

Non si parla più di investire nella Sanità pubblica, si fatica a parlare di lockdown nazionale anche quando le terapie intensive vedono saturata la loro capacità di ricovero, ma in compenso tornano i diktat demagogici di Salvini che, mentre tutto crolla, invoca le scampagnate di Pasqua anche a costo di ricorrere al vaccino russo, oppure a quello cinese: il nazional-sovranismo cambia idea davanti al rischio dell’uovo pasquale negato.

Quando si scrive di un Matteo l’attenzione inevitabilmente si focalizza sull’altro. Sono passati pochi giorni dall’annunciata querela che Renzi ha sporto, o sporgerà, per la pubblicazione di un articolo non ossequioso nei suoi riguardi, esplicito nel raccontare i rapporti tra l’ex sindaco di Firenze e il principe saudita che si sospetta essere il mandante dell’omicidio Kashoggi. L’ipotesi giornalistica ha comunque tracciato ancora una volta lo stato di salute del sistema istituzionale italiano.

La trasformazione della nostra Costituzione in una versione germanica accentuerebbe ulteriormente i poteri in capo al premier, e significherebbe la scomparsa dei partiti ideologici, della Sinistra. La conferma arriva proprio dalle recenti dimissioni di Zingaretti, passato nelle fila degli ex segretari del Pd, e dall’implosione del M5s insieme alla frantumazione di LeU. Eventi che misurano la sofferenza manifestata dall’alleanza progressista nel reggere gli attacchi delle lobby neoliberiste.

Il caterpillar Renzi può vantare di aver spalancato le porte del governo a Salvini e Berlusconi, i quali attualmente tengono in pugno Draghi perché ne sono gli azionisti di maggioranza, ma gioisce soprattutto per aver realizzato il vero piano che covava da mesi in cuor suo: smontare l’asse progressista, quale premessa per rientrare in gioco e costruire l’ennesimo partito “personale”. In futuro gli elettori potranno scegliere solamente tra i nomi di inguaribili egocentrici, anziché programmi contenenti visioni diverse della società (programmi ideologici): in sintesi il ritorno all’Europa dei signorotti e dei feudi (del resto Hitler era un cancelliere, come lo era Bismarck).

Manovre tutte interne alla stanza dei bottoni e alle segreterie, atti lontani dai veri problemi della popolazione (ogni giorno più grandi), distanti da cittadini atterriti che guardano con crescente interesse verso l’unica forza partitica all’opposizione: i postfascisti della Meloni. Mi auguro che quando le nostre periferie si saranno trasformate in territori percorsi da disagio, dominati dall’estrema destra xenofoba, qualcuno ricordi almeno come sia stato possibile demolire le speranze collettive per assecondare le manie di grandezza di piccoli capi.

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