Poche cure domiciliari, così gli ospedali sono finiti sotto stress
Stefano Rizzi 07:00 Lunedì 26 Aprile 2021Usca sottoutilizzate soprattutto a Torino. Un'anomalia che chiama in causa la gestione dei distretti sanitari. Icardi: "Da tempo dico che nel capoluogo la medicina territoriale funziona meno bene che nel resto del Piemonte" - I DATI DI OGNI ASL
C’è un nesso tra il numero di ricovero di pazienti Covid che fino a non molti giorni fa ha messo in crisi il sistema ospedaliero soprattutto a Torino e provincia e l’adozione di cure domiciliari? E se c’è, come tutto lascia supporre, quanto è pesante? Una risposta in senso affermativo, seppur parziale ma dettagliata, arriva da una serie di dati che sono stati discussi, nei giorni scorsi con i direttori generale delle Asl. Si tratta dei numeri che rappresentano le prese in carico dei pazienti sintomatici da parte delle Usca, le Unità di continuità assistenziale formate da medici e infermieri, attivate su richiesta dei medici di famiglia o, in alcuni limitati casi, per chiamata diretta ai numeri di soccorso. Sono numeri che presentano differenze molto accentuate, raffigurante una geografia della regione con profonde diversità.
Nel periodo novembre-marzo, ovvero la seconda e la terza ondata del virus, il totale delle prese in carico da parte delle Usca su tutto il territorio regionale si attesta attorno a 43.500, per la precisione 43.445. Se questo numero si scompone per le aziende sanitarie locali e si parametra su 10mila abitanti quel che emerge è un quadro dove le differenze, come si diceva, balzano all’occhio e suggeriscono un rapporto molto forte tra l’utilizzo delle Usca e i ricoveri nelle stesse aree di competenza delle Asl.
Facendo una media dei valori si scopre che per l’Asl Città di Torino le perse in carico siano state 19, due punti in più rispetto all’Asl To3, cinque rispetto all’Asl To4 e appena un punto sopra l’Asl To5. Ma è il raffronto con altre province che fa piombare verso il fondo della classifica, se così la possiamo definire, la principale azienda sanitaria torinese e quelle dell’area metropolitana. Dai 19 casi su 10mila abitanti della più grande azienda sanitaria torinese, diretta dal commissario Carlo Picco, si balza ai 30 dell’Asl Cuneo1 e poi ancora ai 31 della Cuneo2, fino ad arrivare ai 33 dell’Asl Alessandria, non a caso territori questi ultimi i cui ospedali hanno ospitato e continuano ad accogliere pazienti trasferiti proprio dalle strutture sanitarie torinesi sotto pressione e arrivate, in alcuni giorni drammatici, a dover sistemare i malati sulle barelle nei pianerottoli e nei corridoi. La stessa Asl di Novara ha livelli superiori di ricorso alle Usca rispetto a Torino.
Come è spiegabile questo divario nel ricorso alle cure domiciliari nel capoluogo e nella sua area metropolitana rispetto ad altre zone del Piemonte, tanto più che proprio a Torino nella terza ondata gli ospedali sono andati sotto pressione, imponendo trasferimenti dei pazienti e l’ennesima limitazione se non blocco di una serie di prestazioni che solo da pochi giorni si sta cercando di recuperare?
“È da tempo che dico che a Torino questo sistema funziona meno bene che nel resto della regione. Bisogna capire quali sono i motivi”. L’assessore alla Sanità Luigi Icardi conferma quel che i dati suggeriscono e spiega come sia necessario comprendere, con una certa sollecitudine, che cosa non funziona nel capoluogo e nella sua provincia. “Ho chiesto ai tecnici di fare tutte le verifiche del caso. Abbiamo messo i soldi necessari per dotare le Asl delle Usca, abbiamo posto un limite minimo di queste unità, ma non certo una soglia massima: tutte quelle che servono vanno messe in campo, senza problemi finanziari”. Ma Icardi dice di più e forse si avvicina al nocciolo della questione: “Dove i distretti funzionano bene, dove lavorano bene i loro direttori il sistema dà quei numeri importanti, come quelli che si vedono nel Cuneese e nell’Alessandrino e in altre aree, ma non a Torino”.
Il problema va ricercato nei medici di famiglia, nel loro rapporto con le Usca, visto che sono proprio loro a doverle attivare, pur potendo in alcuni casi scegliere di non farlo? “È acclarato che nelle aree metropolitane, come conferma il caso della Lombardia e di altre regioni, il sistema presenti più difficoltà – sottolinea Icardi – anche se resta necessario comprenderne le ragioni e superare questo limite”.
Le Usca in Piemonte sono 90 e per la sola città di Torino se ne conta una ventina. “Se ne servissero di più non ci sarebbe alcun problema di ordine economico e normativo, questo è chiaro”, ribadisce l’assessore. “Quel che sappiamo di certo è che più funzionano le cure domiciliari, meno è il ricorso ai ricoveri e quindi consentire di ridurre o evitare la pressione sugli ospedali”. Proprio sui ricoveri da una settimana è stato predisposto, con delibera, un protocollo per uniformare quelle che con un termine contestato dal sindacato dei medici ospedalieri Anaao-Assomed, Icardi aveva definito “regole di ingaggio”, ovvero i parametri per stabilire la necessità o meno di un ingresso in reparto ospedaliero di un paziente Covid.
Non solo. Proprio le Usca sembrano destinate a diventare un meccanismo importante della medicina territoriale anche quando finirà l’emergenza Covid. “Ci stiamo ragionando molto concretamente, insieme al rafforzamento delle telemedicina con l’acquisto di apparati per cui abbiamo già dato disposizione alla Società di committenza regionale”.
La necessità di capire in fretta, incominciando con il raffrontare le prese in carico dei pazienti da parte delle Usca con i numeri degli accessi ospedalieri negli stessi periodi e nelle stesse aree geografiche, è dettata anche da un altro elemento che riguarda la sanità piemontese e in particolare le grandi strutture torinesi. “La delibera 1-600 con cui era stata rimodellata la rete ospedaliera regionale ha portato a una riduzione dei posti letto molto più pesante rispetto a quanto stabilito dal decreto ministeriale 70. A fronte di 14mila e 500 posti previsti, il Piemonte ne ha soltanto 11mila e 500”. Una carenza che la pandemia ha messo ulteriormente e in maniera drammatica in luce. Se poi proprio a Torino la medicina territoriale, come si evince dai numeri sugli interventi delle Usca, mostra più debolezze che altrove, comprenderne con chiarezza le ragioni, appurare eventuali responsabilità e rimediare in fretta, più che una priorità, è un obbligo.