PARTECIPATE

Finpiemonte "fuori controllo" 

Troppo scarse le verifiche della Regione sull'attività della sua finanziaria. La Corte dei Conti sottolinea nella sua relazione "opacità" nella gestione dei crediti deteriorati e critica la annullata fusione con Finpiemonte Partecipazioni

Non solo l’esplosione delle consulenze esterne (affidate per la maggior parte senza gara) e l’aumento dei poteri in capo a Finpiemonte, la Corte dei Conti vuole vedere chiaro anche su una serie di altre attività della finanziaria regionale e soprattutto sul mancato controllo esercitato su di esse da piazza Castello.

Nella lunga relazione della Sezione di Controllo sulla parifica del Rendiconto 2020, i giudici contabili si concentrano in modo particolare sulla cassaforte della Regione, la società che è stata sul punto di trasformarsi in una banca prima che l’ultima bufera giudiziaria si abbattesse su di essa e in particolare sull’allora presidente Fabrizio Gatti. Un bubbone esploso anche a causa della mancanza di controlli adeguati come ebbe a verificare Bankitalia nei suoi successivi accertamenti; e forse è per questo che ora la Corte dei Conti auspica un’implementazione delle “forme di controllo (…) ad esempio la verifica dei conti correnti gestiti da Finpiemonte”. Controlli che dovrebbero avvenire da parte delle Direzioni, che invece troppo spesso si limitano a osservare da lontano e senza mettere becco su quanto avviene nella cassaforte regionale. Quanta autonomia per una società che in questi anni è stata travolta in più occasioni da scandali e inchieste giudiziarie. Per questo i giudici di via Bertola denunciano apertamente una “carenza dell’azione di controllo” da parte della Regione e chiedono formalmente di indicare se funzionari regionali abbiano mai richiesto di effettuare ispezioni e quante siano state in questi anni le ispezioni. Poche, pochissime, forse nessuna. E lo stesso dicasi dei controlli sui beneficiari dei vari bandi, prima sotto stretto controllo delle Direzioni regionali, mentre oggi “tale attività è rimessa ai contratti di affidamento”. A dimostrazione di un lassismo che potrebbe costare caro.

Un capitolo a parte merita la disamina della gestione dei crediti deteriorati, quelli cioè difficilmente esigibili. Si parla di un ammontare complessivo di 121 milioni di euro relativi a 3.846 posizioni di soggetti che hanno usufruito di finanziamenti erogati dalla Regione proprio tramite la sua società finanziaria e che, per svariati motivi, hanno smesso di restituire quelle somme. La Corte ha rilevato “l’opacità del sistema di contabilizzazione di tali crediti” che “la Regione impropriamente non considera come propri sebbene le agevolazioni vengano erogate con suoi fondi”. In sostanza pare proprio che la Regione non si occupi e preoccupi del denaro che, tramite Finpiemonte, utilizza per finanziare una serie di soggetti. Un bel guaio dal punto di vista contabile. La Corte dei Conti parla apertamente di “opacità” e “inefficienza” di questo sistema che consente un “consistente accumulo, nel tempo, di crediti deteriorati” su cui “è emersa una dinamica poco chiara delle modalità di accertamento”. Di più: nella Convenzione Quadro la Regione sembra voler scaricare interamente sul suo braccio finanziario l’onere di accertare, recuperare ed eventualmente cedere tali crediti.

Infine, emerge dalla relazione, la decisione dell’attuale giunta di bloccare l’iter di fusione tra Finpiemonte e Finpiemonte Partecipazioni. È infatti in atto una “riformulazione” della legge del 2015 con cui la passata legislatura aveva avviato l’iter di accorpamento, con l’obiettivo di semplificare il suo sistema di società controllate e partecipate così da creare anche dei risparmi di gestione. Una “battuta d’arresto”, prendono atto i magistrati contabili,  “per pervenire a interventi di mera riorganizzazione”. Secondo quanto risulta allo Spiffero l’input politico di bloccare tale processo di integrazione sarebbe partito dall’assessore alle Partecipate Fabrizio Ricca – colui che si è intestato la nomina del nuovo presidente di Finpiemonte Partecipazioni, Francesco Zambon – ignorando nei fatti l’esito dello studio di fattibilità affidato allo Studio Associato Fieldfischer “per il quale – fa notare la Corte dei Conti – è stato liquidato un compenso di 38.102,72”. Anche su questo arriva una bacchettata dalla Sezione di Controllo, secondo cui l’interruzione dell’iter di accorpamento delle due società “non è coerente con i principi e i criteri di razionalizzazione” contenuti nelle recenti norme nazionali.

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