VERSO IL VOTO

Damilano, il babau che spaventa (solo) la sinistra

L'aspirante sindaco del centrodestra è il favorito della vigilia. Si definisce liberale. E a Torino fa figo e non impegna, di certo non è l'uomo nero che qualcuno dipinge. Le radici langarole e in Valpellice. L'impero di famiglia e la tardiva vocazione politica

Hanno provato, e forse ci proveranno ancora a dipingerlo come l’uomo nero, la testa d’ariete per sfondare il portone di Palazzo civico, il cavallo di Troia dentro cui si nascondono falangi destrimane e sovraniste. Poi te lo trovi di fronte questo 55enne così perbene e glamour e tutto crolla, e la paura del babau si rivela per quella che è, una bubbola. Insomma, a meno di non pensare gli elettori dei tanti Gnocco Allocco della celebre propaganda della Dc degli anni ’50, alla sinistra conviene trovare altri argomenti se vuole davvero riuscire a sbarrargli la strada. Paolo Damilano, il candidato “civico” del centrodestra, di politica non ne ha mai fatta, neppure da studente di ragioneria al Rosa Luxemburg, men che meno a Palazzo Nuovo che peraltro lasciò dopo un pugno di esami a Scienze Politiche per entrare in azienda, spinto non certo dall’indigenza quanto piuttosto da un precoce spirito d’intraprendenza. Oggi si definisce liberale che a Torino da troppo tempo significa tutto e niente, fa figo e impegna poco. E lui i tratti da fighetta li mostra come cifra di un successo che vorrebbe trasferire in questa nuova avventura. E così se con “Torino Bellissima” – insegna della lista personale – titilla l’orgoglio prostrato dei torinesi, con quel “C’è da fare” – che campeggia su manifesti e volantini – è il richiamo neppure troppo celato a quel “doverismo” sabaudo, alla laboriosità che è prima di tutto coscienza e passione per il lavoro ben fatto del Faussone di Primo Levi.

Piglio da imprenditore, ammorbidito da un’immagine chic ma attenta a non arrivare al naso all’insù, il pronipote di Giuseppe Borgogno, che in quel di Barolo avvio l’azienda vinicola oggi grande gruppo con proiezioni internazionali, è l’uovo di colombo di Matteo Salvini che sotto la Mole ha tutte le chance per mostrarsi ad alleati e avversari gallina dalle uova d’oro. Chi avrebbe mai detto che il capo dell’ultimo partito leninista, dove la militanza fa grado, se ne sarebbe uscito, spiazzante, con una soluzione civica? Bravo, il Damilano a negare l’immagine della spada dell’Alberto da Giussano sulla sua spalla. Furbo il Capitano a non rivendicarla, quell’investitura. Il vero pericolo, per Damilano e per Torino in caso di sua vittoria, è semmai la solitudine del numero uno, in fondo quello che è toccato a Chiara Appendino. Con i partiti del centrodestra che hanno già raschiano il fondo del barile, portando i quadri migliori in parlamento e al governo regionale (ed è già tutto detto), dove attingerà l’ipotetico sindaco uomini e donne in grado di affiancarlo nell’amministrazione? Speriamo non certi gadani che gli girano intorno. E, com’è ovvio, non si tratta solo di selezionare quella decina di assessori per la Giunta, che quelli in qualche modo li si rabasta pure, ma di riuscire a mettere in piedi un gruppo dirigente espressione dei gangli vitali della città. Proprio quello che è mancato alla grillina bon ton.

La verità, piaccia o no, è che Damilano è il candidato civico del centrodestra, ma nessuno avrebbe alzato mezzo sopracciglio se lo fosse stato per il centrosinistra. Già, perché alcuni degli incarichi, come quello di presidente del Museo del Cinema, della Film Commission o di Barolo & Castle Foundation, li ebbe da sindaci e governatori di diversi colori, a partire dalla giunta regionale di Sergio Chiamparino. E questo è il grosso, grosso problema per Pd e compagni. Torinese, ma con radici langarole e nella Val Pellice, alfa e omega di un impero familiare nell’acqua e nel vino (guidato dal fratello maggiore Mario, più grande di 12 anni) di quell’uomo in orbace non ha manco lontanamente la stoffa. Dice cose di buon senso al limite del senso comune, non sfida il caposaldo dell’understatement torinese (esageroma nen) ma invoca coraggio e lungimiranza. Tifa Toro come l’ultimo dei comunisti Marco Rizzo, scavalcato da chi è meno a sinistra di lui nel ritrarlo come l’archetipo della destra catacombale, rimediando il risultato di una macchietta autolesionista. “È un amico” dice Damilano del suo probabile avversario, il piddino professore del Poli Stefano Lo Russo. Si sono incontrati l’altro giorno per caso, stretta di mano, due convenevoli nulla di più e nulla di meno. Se il duello sarà tra i due, altro che fulmini e saette, semmai sbadigli a volontà. Fair play in abbondanza.

Berlusconi in uno degli ultimi rantoli di burloneria fece una battuta sui toponimi – a partire dal Napoli (nel senso di Osvaldo) di cinque anni fa, proseguendo appunto con Damilano – non proprio felici per chiedere il voto dei torinesi. Poi benedisse la scelta e buonanotte ai suonatori.

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