EMERGENZA SANITARIA

Terapie intensive, sulla carta (quasi) tutti i letti di Arcuri

Dopo un anno su 299 postazioni ne sono state realizzate solo 20. Piemonte agli ultimi posti della classifica. Ritardi dell'allora commissario e delle Asl. Ospedali in gran parte vecchi complicano gli interventi edilizi. Il nodo del personale

Dei 299 posti di terapia intensiva previsti dal decreto Rilancio del maggio dello scorso anno, più noti come “le rianimazioni di Arcuri” dall’allora commissario che predispose il piano, il Piemonte ne ha attivati – secondo i dati del ministero della Salute aggiornati al 29 aprile – soltanto 20. Un misero 6,7% che già di fronte alla media nazionale pari al 25,7% mette il Piemonte in una situazione decisamente critica. Per essere più espliciti, peggio hanno fatto soltanto la Sicilia (3,3%), il Friuli Venezia Giulia (3,6%), la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata che dei posti previsti non ne hanno attivato neppure uno.

S’era detto, fin dall’inizio, che quei letti di terapia intensiva non sarebbero arrivati in tempo per la seconda ondata e le procedure si annunciavano lunghe e complesse. Non furono pronti neppure per la terza ondata e non lo sono neppure ora quando, per fortuna i malati di Covid che necessitano di essere ricoverati in rianimazione sono “appena” 63, e l’attenzione su un aspetto cruciale della sanità come questo rischia di affievolirsi. Come capita di reclamare misure antisismiche davanti alle macerie, la regimazione delle acque quando le alluvioni devastano, o la tutela del territorio quando la terra frana, per poi dimenticarsene in fretta, oggi in piena campagna vaccinale e con la prospettiva della zona bianca, del rafforzamento delle terapie intensive non parla più nessuno, o quasi.

Parlano certamente i numeri. Quei 299 letti che, come si era detto all’inizio della scorsa estate,      avrebbero dovuto raddoppiare la dotazione strutturale sono ancora quasi tutti sulla carta. Ritardi, in verità, c’erano già stati appena varato il piano, derivati, in quel caso, da una gestione approssimata e a tratti confusa da parte dell’allora commissario nazionale. La polemica della Regione nei confronti di Arcuri e dell’allora Governo Conte era proseguita per settimane con solleciti diretti a Roma e sempre rimbalzati.

La stessa procedura che aveva portato le Asl e le Aso, anziché la Regione a divenire soggetto attuatore del piano aveva fatto prevedere quel che sarebbe accaduto. Quanto ciascuna azienda ha spinto sull’acceleratore per fare i progetti e tradurre in pratica il piano? E se è vero com’è vero, che l’edilizia sanitaria piemontese è, per la quasi totalità, più che datata rendendo difficili nuovi interventi è altrettanto vero che proprio per questa ragione i vertici delle aziende avrebbero dovuto procedere con la massima sollecitudine. E se persistono problemi, perché non sono stati evidenziati? Le recentissime nomine dei nuovi direttori generali e le riconferme di alcuni, non possono che non vedere tra gli obiettivi proprio quel raddoppio delle terapie intensive per il quale i soldi ci sono, ma continua a mancare qualcos’altro.

“L’ultima ricognizione fatta per la nostra associazione, risale pochi giorni fa e conferma come i posti previsti dal piano Arcuri realizzati in regione siano davvero molto pochi”, conferma Gilberto Fiore, presidente per il Piemonte e la Valle d’Aosta dell’Aaroi-Emac, l’associazione degli anestesisti e rianimatori. “Una situazione oggettivamente pesante che trova una delle spiegazioni nella necessità, in gran parte dei casi, di predisporre opere edilizie per ospitare quei letti”. Fiore cita, tra gli altri il Mauriziano, dove “è indispensabile costruire una palazzina nuova”, le Molinette dove “è necessario ristrutturare un reparto” e poi ancora a Carmagnola dove devono ancora iniziare i lavori per la realizzazione della nuova rianimazione e ancora non si è visto nulla. Non va meglio a Chivasso, così come si aspetta l’inizio dei lavori all’ospedale di Borgomanero. Non è un caso che a non presentare grossi problemi sia un ospedale da poco inaugurato, sia pure dopo un’attesa infinita, come quello di Verduno.

“Lo standard prevede 14 letti di terapia intensiva ogni 100mila abitanti, prima del Covid eravamo a 7 e oggi siamo intorno a 8 letti – spiega Fiore –. E questi numeri sono riferiti al fabbisogno strutturale”, quindi al netto dell’emergenza Coronavirus. Ecco perché sono necessari i posti previsti dal piano di un anno fa. A fronte dei 278 posti di terapia intensiva, si è arrivati a circa 400 strutturali, con quelli del piano Arcuri e aggiungendo i 160 previsti dalla Regione con un investimento diretto, si dovrebbe arrivare a rispettare i parametri fissati. “Aver utilizzato posti di emergenza anziché poter contare su un numero sufficiente di quelli strutturali ha contribuito a bloccare attività chirurgiche”, osserva Chiara Rivetti, segretario regionale di Anaao-Assomed.

Serve colmare in fretta un ritardo pesante, dunque, come quello evidenziato dalla classifica dove il Piemonte è agli ultimi posti, mentre si piazza decisamente meno peggio per quanto riguarda i letti di sub intensiva, avendo messo in funzione la metà dei 305 previsti. “Ma in Regione devono tenere in seria considerazione anche un altro aspetto, non meno importante – sostiene Fiore – quello del personale”. A ottobre in Piemonte saranno pronti circa 50 nuovi anestesisti rianimatori, “che parzialmente andranno a coprire i buchi già in essere e quelli che si creeranno con i pensionamenti”. Attualmente in Piemonte c’è una carenza di 200 professionisti a fronte di circa 1.100 in organico. “Nella prospettiva di attivare i letti del piano Arcuri, va tenuto presente che le indicazioni anche a livello internazionale fissano al massimo cinque i pazienti che un rianimatore può seguire nel suo turno di lavoro. Oggi ci sono ospedali dove quel numero è moltiplicato per tre”.

print_icon