SACRO & PROFANO

Bianchi vuole rifondare Bose, manovre "pugliesi" su Torino

Dopo il lungo braccio di ferro con la Santa Sede l'ex priore ha lasciato le colline biellesi e pare intenzionato a dar vita a una nuova comunità nel capoluogo. Per la successione di Nosiglia spunta l'arcivescovo di Manfredonia, "indigesto" ai suoi confratelli

Dopo mesi e mesi di tensioni e obbedendo solo in parte al decreto della Santa Sede, «approvato in forma speciale dal papa», che gli imponeva di lasciare Bose e ritirarsi in Toscana, Enzo Bianchi è dunque alla fine approdato a Torino in un appartamento messogli a disposizione dai suoi fedeli i quali, appartenenti a   quella classe benestante e colta che è la cifra di gran parte del cattolicesimo progressista, hanno già annunciato il rientro in grande spolvero sulla scena mediatica dell’ex priore. Circola inoltre voce che egli stia per fondare una nuova comunità, separata dai quei fratelli – si può veramente usare per loro il termine “separati” – rimasti sulla Serra biellese con il priore Luciano Manicardi.

Qualcosa però è cambiato e lo si deduce dagli editoriali sulle virtù cristiane che fratel Enzo pubblica ogni lunedì sulle pagine di un grande quotidiano. Da quando è stato colpito personalmente, i toni sono assai più dolenti e le “magnifiche sorti e progressive” aperte con l’elezione di Bergoglio, appaiono scosse.  Nell’ultimo suo intervento, l’ex priore di Bose si chiede apertamente cosa stia succedendo nella Chiesa dove, mentre si parla molto di discernimento «in realtà esso viene a mancare, e l’effetto è un esteso turbamento a livello ecclesiale». Si citano in proposito i casi del cardinale George Pell «condannato, imprigionato ed esposto ad una gogna mediatica mondiale, mentre nessuno ne prendeva le difese» e del cardinale Philippe Barbarin, anche lui processato e poi assolto come il primo. Per concludere poi che «su questa via si darà soddisfazione all’opinione pubblica ma viene turbato il gregge di Dio».

Se però fratel Enzo usa toni sfumati e allusivi, parla chiaro e forte uno dei siti che lo fiancheggia nella battaglia per la sua riabilitazione. Si tratta di “Silere non possum” dove, con argomentazioni giuridiche ineccepibili e circostanziate, si mettono in luce tutte le incongruenze e i lati oscuri della vicenda Bianchi in cui lo spregio delle norme canoniche sul diritto dell’imputato a conoscere le accuse nei suoi confronti e del diritto a un giusto processo, sono state travolte da misure amministrative inappellabili messe in atto dal Papa, così come avvenuto per altre vicende, come quella che ha visto coinvolto il cardinale Becciu. Il pontefice, infatti, non attende alcuna decisione giudiziaria ma procede di sua iniziativa. In un post, prendendo spunto dall’incredibile lettera di stima inviata da Francesco a Enzo Bianchi l’autore, dopo aver  affermato che «Bergoglio è ormai famoso per la sua intolleranza nei confronti di coloro che vengono anche solo accusati di aver fatto o detto qualcosa» per cui «la sua misericordia è un grande mantra da usare nelle udienze generali ma il problema  è l’applicazione delle sue belle teorie», conclude dicendo che forse «bisogna iniziare a chiedersi se Francesco non voglia tenere il fondatore di Bose sotto un ricatto psicologico che, da una parte, gli fa credere di essere stimato dal pontefice e dall’altra lo bastona senza assumersi la responsabilità di ciò che sta facendo. Certamente desta stupore leggere il riferimento alla “croce” che viene inflitta, senza fare riferimento al fatto che quella croce la sta infliggendo lui e solo lui può liberarlo».

Se la Chiesa non è una democrazia, neppure può diventare una dittatura o  un regime autoritario dove le norme che essa si è data vengono disinvoltamente disattese. Questo lo scrivono  da tempo i critici di Francesco sui siti tradizionalisti e osservatori universalmente stimati come Sandro Magister. Anche in campo progressista la pensano così ormai in molti ma, per paura di ritorsioni, specie se preti, tacciono e  disquisiscono di sinodalità. L’unica libertà concessa, senza timore di conseguenze, è quella all’eterodossia, posto che difendere la dottrina è visto con sospetto.

A proposito di mantra, è disponibile il documento redatto dalla commissione dell’Assemblea diocesana torinese e stilato sulle indicazioni offerte dalle relazioni del sociologo Franco Garelli e del teologo Duilio Albarello e sul quale lavoreranno, a partire dal 18 giugno prossimo, ben quattordici “cantieri”. Già dalle relazioni era emerso che il rinnovamento della Chiesa dovrà avvenire non dalla conversione personale dei cristiani, ma dal cambiamento delle strutture, non dalla catechesi tradizionale ma dall’attivismo riformatore, dove l’evangelizzazione, prima che dall’annuncio di Gesù Cristo, unico Salvatore, deve essere preceduta da un processo di umanizzazione. Così andranno «ripensate» tutte le strutture della diocesi, compresa la curia, chiamata a lavorare per progetti.

Data per scontata la fede e la presenza di un popolo (che non c’è più), ecco le parole d’ordine: passare dall’autoreferenzialità al dialogo socio-culturale, stop alla sacramentalizzazione e passaggi all’umanizzazione, riconoscimento del diaconato femminile come tappa verso il sacerdozio, stop alla pastorale tradizionale e nuova formazione teologica (quale?), apertura alle differenti etnie, generi e religioni, «non più loro, ma noi». Per chi si occupa di cose di Chiesa sembrano temi nuovi, in realtà sono vecchi di almeno cinquant’anni. Dove hanno avuto corso – vedi Olanda, Belgio, Germania – le chiese o hanno chiuso o stanno per chiudere e i pochi cattolici sono ridotti – come diceva il cardinale Giovanni Saldarini citato dal professor Garelli, al rango di «infermieri della storia» ruolo che, peraltro, è quello che auspicano i teologi più avanzati, quello di andare alla «sequela di questo mondo». Non si capisce infatti cosa giovi alla Chiesa seguire i sentieri già percorsi dalle confessioni protestanti e ridotte oggi alla pura insignificanza.

Intanto, un altro vescovo piemontese di origini lombarde ha messo a segno un ulteriore punto a favore, rendendo molti inquieti. Monsignor Egidio Miragoli, vescovo di Mondovì, ha comunicato che Papa Francesco, dopo un colloquio a Santa Marta, lo ha inviato come visitatore a nome suo presso la Congregazione per il clero dove, proprio qualche giorno fa, il Papa ha nominato il nuovo prefetto nella persona del coreano monsignor Lazzaro You Heung-sik. Si sussurra che proprio Miragoli, canonista e membro del collegio che esamina i delicta graviora, cioè i crimini commessi dai chierici contro la fede, la morale e la celebrazione dei sacramenti, possa diventarne a questo punto segretario, così come avvenuto per monsignor Vittorio Viola al culto divino.

Da registrare la nomina a Casale Monferrato, da parte del vescovo Gianni Sacchi, del parroco di Brusasco e Cavagnolo, don Koffi-The Azogou (Dèsirè) a vicario generale e parroco della cattedrale. Originario del Togo, così come gli altri dieci confratelli presenti in diocesi, il nuovo vicario è il primo prete africano ad assumere un tale incarico in Piemonte.

Sul fronte  del “toto vescovo”, voci romane accreditano l’adoperarsi dei vescovi pugliesi, per mezzo dei due conterranei “pezzi da novanta” il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, e monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica”, al fine di far trasferire a Torino l’attuale arcivescovo di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo nonché presidente della Fondazione “Casa Sollievo della Sofferenza”. Si tratta dell’albese padre Franco Moscone, già generale dei Somaschi e ritenuto, per le sue schiette prese di posizione e per l’impermeabilità ad ogni influenza esterna su di un centro di potere importante per la Puglia come l’ospedale di Padre Pio, un corpo “estraneo”, non integrato nel collaudato “sistema” clericale pugliese dove, per fare un esempio, nel seminario regionale di Molfetta studiano  ancora più di un centinaio di seminaristi e vari monsignori pugliesi sono presenti in diverse congregazioni romane e nella diplomazia. Sempre  di ieri è la notizia che un altro prelato pugliese, monsignor Antonio Viva del clero di  Nardò-Gallipoli, è stato nominato vescovo della piccola ma importante diocesi suburbicaria di Albano, succedendo al conterraneo di Lecce, il sunnominato cardinale Semeraro.

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