GIUSTIZIA

Crac De Tomaso, Rossignolo condannati anche in appello

Il secondo grado di giudizio conferma la colpevolezza della famiglia che rilevò gli stabilimenti Pininfarina di Grugliasco. Pene ridotte e alcuni reati contestati sono caduti in prescrizione. E intanto decine di milioni pubblici sono stati buttati

La Corte d’Appello di Torino rivede al ribasso, per la prescrizione di alcuni reati, la condanna di Gian Mario Rossignolo per il crac della De Tomaso, storica azienda automobilistica che nel 2009 aveva rilevato da un ramo della Pininfarina ottenendo dalla Regione Piemonte e dal Ministero del lavoro fondi per la formazione degli operai mai avviata. L'imprenditore, che in primo grado era stato condannato a cinque anni e sei mesi per bancarotta fraudolenta, truffa ai danni della Regione Piemonte e dello Stato, ha avuto una condanna a tre anni e dieci mesi. Condannati a tre anni e sei mesi e tre anni e tre mesi anche il figlio dell'imprenditore Gianluca e Giuliano Malvino, amministratore di una società in rapporti con la De Tomaso.

Per le altre posizioni la Corte ha stabilito di “non doversi procedere” per avvenuta prescrizione. “Siamo soddisfatti del parziale accoglimento dei motivi”, dichiara l'avvocato Alessandro Viglione del Foro di Milano, difensore di Rossignolo, ex manager Fiat, amministratore di Lancia e presidente di Telecom. “Attendiamo di leggere la sentenza – aggiunge il legale – per comprendere le ragione per cui la corte ha ritenuto di mantenere parti delle contestazioni della bancarotta”. La Corte ha accolto la richiesta del procuratore generale, Giancarlo Avenati Bassi e ha disposto la trasmissione degli atti in Procura per la vicenda che riguarda due bonifici da circa undici milioni di euro. Il denaro sarebbe servito per liquidare il Tfr dei lavoratori della De Tomaso, che si sono costituiti parte civile nel procedimento. Cosa che invece non avvenne. Alla fine fu infatti l’Inps a procedere ai pagamenti di fine rapporto. Secondo la tesi del procuratore generale Avenati Bassi c’era stato da parte degli imprenditori una pressione sugli enti pubblici, strumentalizzando i dipendenti, per ottenere finanziamenti, tra questi quelli per il fondo Tfr. L'inchiesta era iniziata nel 2012 e si era dapprima concentrata sui corsi di formazione, finanziati dalla Regione Piemonte ma mai attivati. La Regione aveva stanziato oltre 7 milioni di euro per quei corsi destinati ai lavorati che sarebbero serviti per il rilancio della De Tomaso. “Lavoravo in Pininfarina da 33 anni - dice uno dei circa cinquecento lavoratori che si sono costituiti parte civile, presente alla lettura del dispositivo. -Nel 2010 è cambiato tutto. Corsi di formazione? Erano corsi falsi, qualcuno per 70 dipendenti su 900 che eravamo. È stata una cassa integrazione continua fino al licenziamento dovuto alla bancarotta. Soldi? Non ne abbiamo mai visti, solo il Tfr dell’Inps”.

Gli avvocati Elena Poli e Giovanni Bonino, che nella maxi aula 1 del Palagiustizia di Torino hanno rappresentato i lavoratori, definiscono la vicenda De Tomaso simile ad altre in cui “i dipendenti sono stati utilizzati per poter trattare con gli enti istituzionali e ottenere i fondi pubblici”. La De Tomaso, sotto la gestione di Rossignolo, sarebbe dovuta diventare un simbolo di rinascita industriale, ma la vicenda giudiziaria ha dimostrato che era solo un espediente per distrarre fondi pubblici.

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