POLITICA & GIUSTIZIA

"La riforma Cartabia è una svolta, nonostante le giravolte del Pd"

L'ex ministro Costa plaude alla netta virata garantista, ma sottolinea le contraddizioni del partito di Letta: "Avrebbe difeso la Bonafede pur di salvare l'alleanza con il M5s". Stoccata a Lo Russo: "Solo le opposizioni politicamente incapaci imboccano la strada giudiziaria"

“Se la riforma di Bonafede era tutta in direzione giustizialista, questa della ministra Cartabia interviene in chiave garantista. Una grande svolta”. Nel calendario dei giorni importanti, quello di ieri Enrico Costa lo segna col tratto grosso della matita. L’ex viceministro della Giustizia e deputato della calendiana Azione, dove è approdato lasciando Forza Italia, è fin dal suo lontano arrivo alla Camera uno dei non molti garantisti senza se e senza ma. Posizione non sempre comoda, ma che l’avvocato di Mondovì non ha mai messo neppure di lato, tenendola sempre come faro del proprio impegno politico.

Soddisfatto, inutile chiederglielo. Ma si sarebbe potuto fare di più? Questa riforma sarebbe potuta essere ancor più garantista?
“Forse sì, ma l’approccio è quello decisamente giusto. Pensiamo solo alla prescrizione, con il testo del grillino Bonafede, ma ricordiamolo sostenuto e approvato dalla Lega, avevamo dei reati imprescrittibili. Se il reato non si prescriveva in primo grado non si prescriveva più, si potevano avere degli appelli attesi per nove dieci anni e poi altri tempi indefiniti per la Cassazione. C’era un potenziale fine processo mai. E non si badava al fatto che ci sono uffici giudiziari dove si lavora bene e i tempi sono ragionevoli e al contrario altre sedi dove i tempi sono infiniti. Si appianava tutto. Oggi c’è un inizio e una fine, non sto a guardare il pallottoliere del tempo, dico che ci sono tempi certi e questo è quel che conta”.

Una sconfitta dura da digerire per i Cinquestelle che della Spazzacorrotti e della riforma collegata avevano fatta una bandiera.
“Bonafede aveva scaricato sul cittadino le inefficienze della Giustizia”.

Ieri si sono impuntati sull’allungamento della prescrizione per alcuni reati, come la corruzione, arrivando poi a una mediazione con Draghi e Cartabia. Una difesa disperata di una norma bocciata senza appello dall’ex presidente della Corte Costituzionale?
“I Cinquestelle avevano bisogno di un’onorevole via di fuga. Ma le cose importanti sono altre”.

Per esempio?
“Le indagini preliminari. Ci sono un sacco di processi nati morti. Ricordo la battaglia del presidente del tribunale di Torino Massimo Terzi che aveva rilevato come si mandassero a processo un sacco di casi che erano da assoluzione palese. Perché intasare il tribunale e tenere un imputato sotto la pena del processo stesso? Oggi il gup manda a processo quasi nella totalità dei casi rendendo di fatto inutile l’udienza preliminare, molte citazioni in giudizio le scrive addirittura la polizia giudiziaria. Con la riforma Cartabia è previsto che se non c’è la ragionevole probabilità di condanna, bisogna chiedere l’archiviazione. Però, manca un tassello che spero venga inserito, ovvero la tenuta in conto delle richieste di rinvio a giudizio in spregio a questa norma in sede di valutazione di professionalità del pubblico ministero”.

Secondo lei chi non osserva questa norma deve essere sanzionato?
“Se un pm prevede che sia ragionevole la condanna, poi l’imputato viene assolto, il pm impugna e arriva un’ulteriore assoluzione e questi casi si ripetono, io dico: quel magistrato è davvero in grado di esercitare il suo ruolo tenendo nelle sue mani la sorte dei cittadini?”.

La riforma Bonafede venne osteggiata dal Partito democratico nel periodo in cui i Cinquestelle governavano con la Lega, ma quando con loro andò a governare proprio il Pd, la norma non venne toccata. Ci è voluto Draghi?
“Il Pd si è battuto prima contro la riforma Bonafede quando c’era il governo gialloverde, poi l’ha difesa perché era al governo con i Cinquestelle, evidentemente per convenienza politica. E adesso che i dem vogliono avviare il rapporto con Conte sarà di nuovo ostaggio di queste scelte. Quindi per quel che mi riguarda, tanto a livello nazionale, tanto a livello locale il Pd è totalmente contraddittorio rispetto alla mia linea politica”. 

Una chiusura totale, la sua, anche guardando alle amministrative?
“Considero inaccettabile ogni rapporto politico con un partito che ha difeso e ha fatto da palo a Bonafede”.

Ieri si è fatto un passo importante, per la Giustizia, ma il cammino è ancora lungo?
“Guardi, io sto facendo una battaglia per evitare che la polemica politica sfoci in continui esposti alla magistratura. La politica ha i suoi mezzi, che non sono quelli giudiziari. La vera responsabilità di questa giustizia che funziona male va ricondotta alla politica che l’ha sempre strumentalizzata per cercare la soluzione giudiziaria per le questioni politiche”.

Avviso di garanzia come strumento di battaglia politica si diceva, ma vale ancora adesso. C’è un rimedio?
“Intanto riformare l’abuso d’ufficio, classico reato che in seguito a un esposto porta a un‘indagine, magari a una condanna in primo grado facendo scattare la legge Severino. Le opposizioni che non sono capaci a fare il loro lavoro sul piano politico imboccano la strada giudiziaria”.

Intanto i sindaci, in maniera trasversale, protestano per i rischi del mestiere.
L’altro ieri alla manifestazione a Roma ho visto tanti sindaci del Pd, peccato che quella stessa forza politica quando si trova all’opposizione usa lo strumento dell’esposto come i Cinquestelle. Io non ho mai fatto ricorso alla magistratura per questioni politiche”.

E il centrodestra? Di giustizialismo ce n’è un bel po’ pure da quella parte.
“Lega e FdI, non possono pensare di nascondere la loro natura giustizialista nel pur giusto referendum. È un qualcosa che hanno nel sangue. Salvini era pronto a dare solidarietà alla polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere”.

Con Draghi e Cartabia si puo sperare?
“Sì, vediamo di nuovo un orizzonte costituzionale dei principi di riferimento”.

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