POLITICA & SANITA'

"Contro il Covid senza una regia e con troppi protagonisti" 

La relazione di minoranza del gruppo di indagine. I cambiamenti della pletorica catena di comando, dove "mai figura Cirio". Il caos tamponi e il pasticcio dei dati sui positivi. Mascherine vietate negli ospedali. La sottovalutazione della situazione nelle Rsa

Una direzione regionale della Sanità in disarmo e con poco personale, un piano pandemico datato e non aggiornato, una catena di comando costituita in tutta fretta e all’inizio addirittura dotata di poche risorse finanziare perché si pensava che la gestione dell’emergenza fosse tutt’altro rispetto ciò che drammaticamente si sarebbe di lì a poco rivelato. È questa la situazione in cui il Piemonte si trova ad affrontare i primi giorni e le prime settimane della pandemia, almeno secondo quanto emerge dalla relazione di minoranza sul lavoro compiuto dal Gruppo di indagine Covid in seno al Consiglio regionale che sarà presentata domani in una conferenza stampa cui parteciperanno, insieme al coordinatore del gruppo di indagine Daniele Valle i capigruppo delle opposizioni. 

Ottanta pagine per raccogliere il risultato di un lavoro incominciato giusto un anno fa, ma il cui iter non è stato indenne da difficoltà, come evidenziano gli stessi consiglieri di minoranza. Sottolineano con la matita blu le ripetute assenze dell’assessore alla sanità Luigi Icardi e del collega alla Protezione Civile Marco Gabusi. “Un atteggiamento inspiegabile – scrivono nella relazione – e inqualificabile a fronte dell’assoluta disponibilità del personale dell’assessorato, delle Asl e degli assessori Matteo Marnati e Chiara Caucino”. Difficoltà anche per “ la mancata messa a disposizione del gruppo di lavoro del materiale relativo all’attività̀ dell’Unità di Crisi, nonostante le reiterate richieste”.

Pur con questi limiti, dopo poco meno di un anno, la fotografia dei primi giorni dell’emergenza e poi dei mesi a venire che ritrae al sanità piemontese appare abbastanza nitida nella relazione di minoranza, composta di vari capitoli che scandiscono, anche cronologicamente l’anno e mezzo di convivenza con il Covid, in un flashback inevitabilmente di luci e ombre, scelte criticate e provvedimenti cruciali.

La catena di comando. “È stata oggetto di più̀ interventi, che hanno via via aggiunto competenze e membri all’unità di crisi e l’hanno affiancata di organismi collaterali, fino al subentro – sugli aspetti sanitari – del Dipartimento interaziendale malattie e emergenze infettive”. Ma, i consiglieri, rilevano come “in più occasioni è possibile osservare difformità̀ fra gli obbiettivi annunciati, quelli indicati formalmente e quelli realmente perseguiti da questi gruppi. Alcuni di questi hanno anche previsto il coinvolgimento di responsabili politici, ma nessuno di questi – rimarcano – il coinvolgimento formale del presidente Alberto Cirio”. Un’assenza sulla quale le opposizioni si soffermano, con paragoni con altre Regioni: “In Veneto e in Emilia Romagna l’unità di crisi prevede la partecipazione di Presidente della Regione e assessori alla sanità e alla protezione civile. Anche in Toscana è il Presidente della Giunta a convocare e presiedere l’unità di crisi”.

Un’Unità di Crisi che cambierà componenti e anche lo stesso vertice, quando il 16 marzo viene nominato Vincenzo Coccolo al posto di Mario Raviolo. Quest’ultimo, che aveva affrontato con piglio operativo le prima settimane più nere, audito dal gruppo di indagine dirà: “Non ho mai ricevuto nessuna comunicazione ufficiale della mia destituzione, né il 17 marzo, né dopo. L’ho fatta chiedere dal mio avvocato, per procedimenti che mi riguardavano, al Commissario dell’Unità di Crisi”. A giugno viene costituito il Dirmei e ad ottobre vene costituito il nuovo settore della direzione regionale dedicato al Covid e affidato a Gianfranco Zulian. “La proliferazione di strumenti organizzativi per la gestione della crisi – scrivono i consiglieri di opposizione  membri del gruppo di indagine - ha generato una grave mancanza di chiarezza circa le responsabilità̀ delle scelte e il ruolo di coordinamento che dovrebbero essere in ogni caso in capo alla giunta regionale e all’assessorato, che a tratti sopravanzava le strutture e a tratti ne era oscurato”.

Ospedali e territorio. “Nel confronto con le altre regioni, emerge come il Piemonte sia una delle regioni che ha ospedalizzato maggiormente. Al 31 marzo 2020, solo la Lombardia supera il Piemonte con il 47% dei ricoverati sui positivi, segue il Piemonte col 39,27%, l’Emilia col 34,37%, la Toscana col 26,5% e il Veneto col 21,4%. Anche il dato degli ospedalizzati su 100.000 abitanti, per tutta la prima ondata, vede solo la Lombardia avanti al Piemonte. In parte – si legge nella relazione – può̀ ipotizzarsi che sia un dato attribuibile all’alta età media piemontese, in parte al numero basso di tamponi della nostra Regione, che porta continuamente a sottostimare i positivi, specie i paucisintomatici e gli asintomatici 

Tuttavia non ci si può̀ nascondere – affermano le minoranze – che sussiste una debolezza strutturale dell’organizzazione territoriale, a cui fa da complemento un orientamento deciso verso l’ospedalizzazione della struttura commissariale, che solo a fronte della pressione insostenibile sugli ospedali comincerà̀ a considerare risposte diverse all’epidemia, lasciando nei cassetti sia le raccomandazioni sulla prima epidemia di Sars, sia il piano pandemico del 2009”. Vengono rimarcati “i ritardi nell’approntare percorsi differenziati, nell’individuare strutture covid dedicate e altre da preservare pulite, nel predisporre nuovi posti letto e nel contrattarne altri coi privati, ospedalieri e alberghieri, si ripetono nella prima e nella seconda ondata”. In entrambe le circostanze “si sono verificate anche gravi carenze sul tempestivo isolamento dei focolai, sull’assistenza domiciliare dei soggetti sintomatici, sulla ricerca dei contagiati e dei malati, sul tracciamento delle persone positive, sulla definizione ed applicazione di protocolli di ammissione e dimissione ospedaliera”.

I dispositivi di protezione individuale. “Soprattutto la prima ondata ha conosciuto una penuria diffusa in ambiente assistenziale, medico e ospedaliero di Dpi, personale costretto a soluzioni di fortuna o a razionare l’utilizzo dei dispositivi, disposizioni delle aziende volte a limitarne l’utilizzo, indicazioni regionali contraddittorie sugli approvvigionamenti: dalla delega alle aziende sanitarie all’accentramento totale per tornare progressivamente alla delega completa attraverso più̀ modelli intermedi. Una confusione – a parere delle opposizioni – che non ha certo aiutato in un sistema nazionale e internazionale di estrema competizione e dove non sono mancate iniziative velleitarie, come il caso delle mascherine Miroglio, e dispute evitabili”. Su questo aspetto i problemi emersi, drammaticamente, sono stati molti così come i provvedimenti non di rado discutibili. Nel corso delle audizioni, per esempio, è emerso che “l’Asl di Vercelli avvisa gli operatori che le mascherine, chirurgiche e filtranti facciali, non devono essere indossate nelle aree comuni”, mentre il Mauriziano, il 5 marzo precisa inoltre che in mancanza di indicazione è vietato l’utilizzo di mascherine e filtranti facciali”. Sulle mascherine prodotte dalla Miroglio eloquente il certificato che le accompagna: “la mascherina non garantisce in alcun modo la protezione delle vie respiratorie di chi la indossa”. 

Tamponi. È il capitolo tra i più negativi nell’analisi del gruppo di indagine che pone in evidenza “i ritardi nell’implementare la capacità di tracciamento, una potenzialità che non corrisponde a quella annunciata e gli enormi limiti dei Sisp”, fin dalla prima ondata e senza significativi cambiamenti nelle seconda. Inoltre viene analizzata la contestata vicenda dei dati sbagliati inviati alla Protezione Civile nazionale.

Personale. “I ritardi delle politiche assunzionali nella gestione della pandemia, sia per quel che concerne il personale ospedaliero (con particolare riguardo alla seconda ondata), sia per quel che riguarda le Usca, unitamente a una relazione complicata con le rappresentanze di categoria, ha sicuramente aggravato una situazione già difficile”. Quello delle Usca, insieme alla rete dei medici di medicina generale, è un aspetto che vede carenze e ritardi. Nella relazione si segnala “una disomogeneità tra le aziende circa l’attivazione, le modalità di impiego e la rendicontazione delle attività”.

Rsa. Durissimo il giudizio sulla concezione delle case di riposo all’esordio della pandemia. “Inizialmente le Rsa non sono individuate come un comparto di cui è prioritario occuparsi: il relativo isolamento delle strutture fa sì infatti che il contagio, salvo alcuni casi puntuali (Tortona, Villanova Mondovì), arrivi in ritardo rispetto alla diffusione sul territorio. Questa è l’indicazione che emerge dalle parole del primo commissario dell’UdC, Raviolo, audito nel gruppo di indagine. Nonostante questo e nonostante le smentite successive, la prima comunicazione dell’unità di crisi, 23 febbraio, ai direttori generali, sanitari e amministrativi delle Asl ricorda: “Le strutture private (di ricovero in acuzie e postacuzie, territoriali, residenziali, semiresidenziali, ambulatoriali, ecc) hanno come primo livello di afferenza informativa le aziende sanitarie locali competenti per territorio con le quali esistono rapporti di carattere funzionale”. Nel documento vengono riportate le parole di Roberto Testi, a capo del comitato tecnico-scientifico, in una mail del 30 marzo 2020: “Non vorrei sembrare antipatico, ma non siamo riusciti a gestire 1.000 quarantene. Non oso pensare che cosa succederebbe prendendo la diretta gestione di circa 40mila tra ospiti delle strutture socioassistenziali e operatori sanitari”. 

Le conclusioni cui giungono i componenti di minoranza del gruppo di indagine rimandano tragicamente alla strage che si consumò nelle strutture: “Per i primi due mesi almeno di epidemia il tema Rsa è stato deliberatamente ignorato e poi accantonato, sulla scorta di una errata convinzione sull’isolamento delle strutture e di interpretazione sbagliata della natura giuridica delle strutture. Una mancanza grave, che ha portato a terribili conseguenze, e che non può comunque giustificarsi”. 

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