GRANA PADANA

Giorgetti scuote la Lega, Molinari studia da leader

Nel partito nessuno (per ora) mette in discussione Salvini ma crescono i malumori per una linea politica troppo contraddittoria. E il ministro fa nuovi proseliti nei gruppi dirigenti. Il ruolo del segretario piemontese sul fronte del Nord, tra Zaia e Fedriga

Quando di buon mattino, ad Agorà su Raitre, Riccardo Molinari parlando della manifestazione no green pass della sera precedente, alla quale avevano partecipato un po’ di parlamentari della Lega, ha detto che lui non è andato e chi c’è andato “ha sbagliato”, tra i leghisti con il radar sempre acceso s’è capito che, in quel venerdì di fine luglio, i segnali non erano banali interferenze: qualcosa si sta muovendo dentro al partito. Il giorno dopo, con il retroscena del Foglio su un Giancarlo Giorgetti che non si riconosce più nel progetto politico tanto da mettere in conto un (improbabile) ritiro dalla politica, le antenne si sarebbero orientate con ancor più precisione. Nord-Nord Est, le coordinate. 

Nella linea che unisce la Lombardia al Veneto e al Friuli Venezia Giulia, con Luca Zaia sempre meno disposto a digerire le sparate di Matteo Salvini così come gli atteggiamenti un po’ ambigui sui vaccini e Massimiliano Fedriga figura su cui sembrano puntare gli scontenti del Capitano che guardano con attenzione all’eminenza grigia di Cazzago Brabbia, il Piemonte non è un punto al di fuori dei tre. Il ministro dello Sviluppo Economico, accusato dai salviniani duri e puri di essere più vicino a Mario Draghi che non al segretario, in Piemonte è più forte di quanto si potrebbe immaginare. Un errore fermarsi a chi dichiara da tempo la su posizione, come i deputati Alessandro Benvenuto e Alberto Gusmeroli, così come il più “politico” degli assessori regionali, ovvero Fabrizio Ricca, impegnato a comunicare ogni suoi incontro con Giorgetti.

Attenta ad ogni movimento, specie se volto a non rafforzare la linea salviniana, da Bruxelles l’europarlamentare Gianna Gancia è tra quanti osservano con interesse a quell’evoluzione che molti danno come probabile dopo le elezioni amministrative d’autunno. Pur senza arrivare alle fantasie scissioniste, che qualcosa non vada da tempo dentro la Lega salviniana è evidente quanto percepibile. La rincorsa sul terreno sdrucciolevole dei vaccini per acchiappare Giorgia Meloni e i suoi Fratelli, la mancanza di una linea chiara di governo, la distanza tra la propaganda social (gli hashtag della Bestia) e il lavoro quotidiano di chi governa Regioni e Comuni, insomma ce ne sarebbe d’avanzo per discutere. Magari in un congresso che chissà quando e se si farà.

Se, come pare, la linea Giorgetti è condivisa da un ascoltato Roberto Calderoli, è automatico annoverare tra i suoi anche il senatore cuneese Enrico Maria Bergesio, mentre l’ampio fronte novarese è definibile come molinariano, nel senso che il vasto gruppo composto dall’ex assessore regionale Massimo Giordano, dal sindaco Alessandro Canelli, dall’assessore regionale Matteo Marnati e dal consigliere  Riccardo Lanzo, sta seguendo con grande attenzione il prudente riposizionamento del numero uno piemontese. Non va tuttavia trascurato, nell’osservare la geografia leghista, il canale privilegiato verso Giorgetti che i novaresi hanno tramite il potente avvocato Andrea Mascetti e il suo think tank Terra Insubre. Vicino a posizioni dell’eminenza grigia padana c’è pure l’assessore alla Sanità Luigi Icardi, che con Zaia e Fedriga dialoga da tempo e con entrambi ha stretto rapporti solidi, complice la Conferenza delle Regioni alla cui presidenza è da qualche mese approdato il governatore friulano. E non si può certo immaginare l’ex sindaco di Santo Stefano Belbo in una piazza dove ci sono i no vax, neppure per caso in una via adiacente.

La corte dei miracoli – come ormai in molti chiamano la fetta di partito in cui spicca la mole fisica di Claudio Durigon e altre figure arruolate nel centro-sud o parlamentari come Claudio Borghi, Alberto Bagnai o, ancora Massimo Casanova, proprietario del Papeete, catapultato all’europarlamento – non spegne certo un clima di tensione in quella Lega che si sbaglierebbe ridurre e restringere soltanto nei confini geografici del Nord. Non è nostalgia del vecchio Carroccio bossiano, i cui tentativi di riproposizione sono tutti miseramente falliti, piuttosto è la Lega di governo, regionale, comunale e financo del Paese, quella che emerge nel riferimento al commercialista varesotto.

Ci sarà, come azzarda qualcuno, un contenitore pronto dopo le amministrative dove Salvini si conterà con la Meloni? E proprio nelle amministrative, quelle sotto la Mole, il civico Paolo Damilano si dice debba la sua discesa in campo, certamente avallata con entusiasmo da Salvini, proprio a Giorgetti, uomo da sempre vicino al mondo delle imprese. Nei suoi stessi tratti “politici” l’imprenditore che corre per fare il sindaco è assai più simile al ministro che non al capo. 

E Molinari, uomo chiave per le scelte della Lega piemontese, dal canto suo e per merito suo si è negli anni affrancato dall’immagine di luce riflessa del segretario, pur senza tradirne il solido rapporto, tanto da essergli riconosciuta un’autonomia che ancora qualche anno fa sarebbe stata impensabile. Autorevolezza, maturata come guida del gruppo alla Camera e negli interventi pubblici, ma anche posizione affatto disdicevole nel rapporto tra lombardi e veneti: queste due peculiarità pongono Molinari in una condizione in grado di sopportare e forse ancor più supportare cambiamenti che nessuno può escludere dopo le comunali e nel percorso che, passando per l’elezione del Presidente della Repubblica, condurrà al voto del 2023.

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