Che fine ha fatto il populismo?

Ma il populismo nella politica italiana esiste ancora? Ufficialmente c’è un solo partito che rappresenta, da sempre, l’essenza di quella cultura, o sub cultura, a seconda dei punti vista. E cioè, il partito di Conte e di Grillo. Il partito dei 5 stelle. Tutti gli altri, chi più e chi meno, rifiuta di applicare quella deriva qualunquista, antisistema e palesemente antipolitica. Del resto, nulla di nuovo sotto il sole, come si suol dire. Tutti conosciamo ormai quali sono gli asset costitutivi di questa sub cultura. Si riassume in alcuni elementi costitutivi: azzeramento delle culture politiche tradizionali, partiti personali, antipolitica, rifiuto della cultura della mediazione e, soprattutto, giustizialismo nella sua versione manettara. Elementi che, ormai, lo ripeto, conosciamo persino a memoria dopo averli sentiti urlati, scritti, descritti, spiegati, praticati e declinati nella concreta azione politica e legislativa per svariati lustri.

Ora, al di là delle conversioni politiche improvvise e più o meno misteriose, è del tutto evidente, nonché scontato, che quando si chiede il consenso per molti anni su quelle costanti, difficilmente si può pensare o pretendere che si può suonare improvvisamente una musica del tutto diversa con la speranza che tutti i cittadini/elettori seguano bovinamente l’inversione di rotta. Anche in un’epoca dominata dal trasformismo, dall’opportunismo e dal populismo le identità dei singoli partiti non si possono rinnegare per sostituirli con modelli diversi se non addirittura alternativi.

Ed è per questi semplici motivi che il populismo, al di là delle pubbliche dichiarazioni dei vari capi partito, continuerà a caratterizzare a lungo le dinamiche della politica italiana. È inutile farsi soverchie illusioni. Se il Pd, ad esempio, partito riformista e di potere per eccellenza, pensa di stringere un’alleanza politica “organica, strutturale e storica” con il partito populista per antonomasia, cioè i 5 stelle, è del tutto ovvio, nonché scontato, che il populismo continuerà ad essere la cifra distintiva di quella coalizione. E se, nel campo politico alternativo, malgrado l’approccio politico pragmatico e riformista di molti governatori della Lega, a cominciare dal governatore veneto Luca Zaia, di Forza Italia e della stessa Meloni, il pallino resta in mano al “capitano” Salvini, è difficile, almeno a breve termine, che il populismo venga abbandonato al suo destino.

Ecco perché, per dirla con l’autorevole storico cattolico democratico Pietro Scoppola, mai come adesso è importante verificare la coerenza tra la “cultura del comportamento con la cultura del progetto”. Perché tutti i veri democratici e tutti coloro che continuano a credere nella democrazia dei partiti, nella competenza e nella qualità della classe dirigente politica ed amministrativa, nella centralità del Parlamento, nel rispetto delle nostre istituzioni e, infine, nella valenza ed importanza delle culture politiche riformiste e costituzionali, hanno il dovere morale, politico e culturale di contrastare quella deriva e di contribuire ad aprire una nuova stagione politica per il nostro paese. Perché, come si suol dire, ormai le chiacchiere stanno a zero ed è giunto il momento per invertire una rotta che ha caratterizzato - e che purtroppo continua a caratterizzare - per molti anni la politica italiana e locale nelle sue multiformi espressioni. Adesso, veramente, si deve cominciare a lavorare alacremente per aprire una nuova fase nella nostra vita pubblica. Al di là delle mode e delle convenienze momentanee.

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