ECONOMIA DOMESTICA

"Non si cresce bastonando le imprese"

Le liste di proscrizione e le sanzioni sono dannose, piuttosto servono misure per aumentare la competitività. Intervista al viceministro Pichetto (Mise): "Occorre capire perché le aziende se ne vanno e ne riusciamo ad attrarre così poche"

Il provvedimento sulle delocalizzazioni “sarà la sintesi di tante e diffuse sensibilità”, annuncia dal meeting di Comunione e Liberazione il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, nelle ore in cui quelle “diffuse sensibilità” alzano il livello della tensione. Ma Giorgetti dice anche e soprattutto che “le forme di intervento devono essere tali che siano compatibili con i principi di legge fondamentali anche a livello comunitario e anche con l'esigenza che ha il Paese di creare un ambiente favorevole agli investimenti esteri che noi continuiamo a ricercare”. Tradotto lavorare per attrarre le imprese, non per tenerle lontane dall’Italia. Che poi è il concetto messo con decisione sul tavolo, per primo, dal viceministro Gilberto Pichetto, senatore di Forza Italia, spiegando che se occorrono norme che impediscano licenziamenti tramite Whatsapp (anche se non sono mai avvenuti), è un errore immaginare leggi punitive nei confronti delle aziende, così come la creazione di limiti che rischiano di soffocarle.

Viceministro, lei non ha girato attorno alla questione. L’ha presa subito di petto bocciando la linea punitiva nei confronti delle aziende che se ne vogliono andare.
“Diciamo che mi sono assunto la responsabilità di prendere una posizione netta. Poi ho visto che mi hanno seguito tutti”.

A partire da Silvio Berlusconi.
“Questo non può che farmi piacere e confermare che è stata la scelta giusta”.

Il problema delle delocalizzazioni, però non solo esiste ma è sempre più pesante per il nostro Paese. Ci vorranno pure delle misure per contrastare questo fenomeno, giusto?
“Ma certamente, però non sono le black list, le multe sul fatturato e altre azioni punitive che possono arginare e, speriamo, risolvere questo problema. Teniamo presente che non c’è uno Stato che abbia un sistema in grado di risolvere il problema delle delocalizzazioni, a meno che non subentri lo Stato stesso. Ci mettiamo a fare l’industria di Stato?”.

Quindi anziché respingere l’arrivo di nuovi investimenti produttivi come si rischia di fare con norme punitive, bisogna attrarre e trattenere. Dirlo è facile. Come farlo?
“Se in Italia abbiamo il 2% di investimenti esteri contro il 18 della Francia, andiamo a vedere perché. Questo è il punto. Perché non siamo attrattivi? Perché abbiamo una giustizia civile lentissima, abbiamo troppa burocrazia e per altri motivi ancora che vanno analizzati e risolti. E anche sul concetto di imprese in crisi, bisogna valutare i vari casi. Ci sono condizioni dove non c’è più spazio, altre dove invece gli spazi ci sono”.

Sulla norma la maggioranza è ancora divisa, il ministro prevede una sintesi. Come si risolverà la questione?
“Anch’io confido nelle capacità di sintesi del Governo. Resta il fatto che per noi di Forza Italia un danno al Paese è inaccettabile. E se penso a una norma punitiva penso a qualcosa di molto dannoso per l’economia e lo sviluppo, che vuol dire occupazione”.

Di fronte a un testo, come dice lei, punitivo per le aziende Forza Italia cosa farà? 
“Spero, vogliono essere convinto che non si arriverà a quella situazione. Dovesse accadere credo che non avrà il nostro voto, almeno io la penso così. Ma, ripeto, sono convinto che si troverà una sintesi. Perché è altrettanto chiaro che si deve evitare che ci sia chi arriva in Italia, gode di benefici pubblici e poi da un momento all’altro stacca la spina”.

Serve un’immagine nuova dell’Italia per gli imprenditori stranieri? 
“Sì, ma non quella di un Paese pronto a bastonare le sue aziende. Quando un’impresa delocalizza, lo ripeto, bisogna capire perché lo fa”.

Ci sono pur sempre di mezzo posti di lavoro. 
“Certo e non li sottovalutiamo affatto, anzi, Guardiamo con attenzione a un welfare più inclusivo, a politiche del lavoro più efficaci. E’ questo che serve, non la punizione o la minaccia di punizione per le aziende”.

Che poi era quel che in buona parte stava nel decreto dignità del Governo Conte, cavallo di battaglia dei Cinquestelle. 
“Infatti. Sembrava avessero risolto il problema delle delocalizzazioni. S’è visto. La verità è che in un mercato globale serve la competitività, le condizioni per favorirla, non certo liste di proscrizione o multe”.

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